Restaurate tra il 2019 e l’anno in corso per volontà del Centro Studi Pasolini di Casarsa, 19 opere pittoriche, soprattutto giovanili, dell’intellettuale corsaro saranno a breve esposte in maniera permanente nella sala dell’Academiuta di lenga friulana. Una vera e propria pinacoteca, che raccoglierà anche quadri di quegli artisti friulani con cui Pasolini sviluppò negli anni ‘40 rapporti d’intensa amicizia e fattiva collaborazione: Giuseppe Zigaina, Federico De Rocco, Virgilio Tramontin, Anzil, Renzo Tubaro.
Tra le 19 opere pasoliniane, costituite da disegni a china e a tecnica mista e dipinti a tempera e a olio, spiccano soprattutto i due grandi cartoni dipinti sui due versi – Giovani con strumenti musicali, Pantera e Due giovani – rintracciati fortunosamente nell’atelier dell’amico pittore sanvitese Federico De Rocco. Nella sua attività pittorica, iniziata nell’estate del 1941, Pasolini era stato incoraggiato dal giudizio positivo dello storico dell’arte e poeta Francesco Arcangeli.
Come ebbe a scrivere lo scrittore e cugino Nico Naldini nell’introdurre il catalogo della mostra di disegni e pitture pasoliniane, allestita a Vienna dal 30 agosto all’8 settembre 1991, «per molti anni anche se in modo saltuario Pasolini è stato attratto dall’idea di diventare pittore, unendo magari strettamente l’attività pittorica a quella poetica… Cominciò a dipingere a Casarsa nell’estate del 1941: quadri dipinti a olio e con l’acquaragia secondo le antiche ricette della pittura impressionista che si ispiravano al mondo friulano… Come un vero vedutista usciva di casa con il cavalletto e la cassetta dei colori legati alla canna della bicicletta e si inoltrava nei campi che circondano il paese».
Quello di Pasolini per l’arte fu un amore viscerale, cui contribuì fondamentalmente l’incontro con Roberto Longhi alla fine degli anni ‘30. All’insigne docente, il cui corso sui Fatti di Masolino e Masaccio seguì nell’anno accademico 1941-1942 presso l’Università di Bologna, il poeta corsaro restò debitore – come scrisse nella dedica in limine al film Mamma Roma – della sua «folgorazione artistica». Non a caso Pasolini aveva inizialmente scelto di laurearsi proprio con Longhi con una tesi sulla pittura contemporanea, di cui abbozzò anche i primi capitoli su Morandi, Carrà, De Pisis, andati purtroppo perduti dopo l’8 settembre del 43. Progetto, questo, poi abbandonato con l’opzione di Carlo Calcaterra, che fu relatore della sua mirabile tesi di laurea sulla poesia pascoliana.
Di Longhi, di cui tracciò un ritratto a carboncino nel 1975, così ebbe a scrivere recensendone sul settimanale Tempo la raccolta Da Cimabue a Morandi: saggi di storia della pittura italiana: «Longhi era sguainato come una spada. Parlava come nessuno parlava. Il suo silenzio era una completa novità. La sua ironia non aveva precedenti. La sua curiosità non aveva modelli. La sua eloquenza non aveva motivazioni. Per un ragazzo oppresso, umiliato dalla cultura scolastica, dal conformismo della società fascista, questa era la rivoluzione, perché Longhi non apparteneva alla falsa cultura ma alla vera cultura».
La passione di Pasolini contrassegnò, come noto, e fu fonte continua di spunti nella sua attività di cineasta. Ma ne fece anche autore e prefatore di cataloghi di mostre, fra i quali spicca, costituendo anche la sua prima opera saggistica, quello sulla retrospettiva personale di Paolo Weiss, tenutasi Roma nel 1946. Edito dalla Piccola Galleria, il testo pasoliniano a commento delle 34 opere del pittore dilettante, amico dello zio antiquario Gino Colussi, prefigura a tratti il realismo immaginativo di capolavori come Il Vangelo secondo Matteo.