È uscito in libreria, da qualche settimana, il libro che potrebbe aiutarci a riconoscere la felicità. «Perché la felicità – suggerisce l’autrice Daniela Gambino – non è resistere agli attacchi della vita, ma cucinare piatti sublimi con gli avanzi emotivi: mentre balliamo aspettando la fiction preferita, ci ripariamo dai torti subiti con piccole attenzioni verso noi stessi».
Daniela Gambino, giornalista e scrittrice palermitana, si interessa da sempre di diritti civili e nel 2011 pubblicò con Laurana il saggio I 10 gay che salvano l’Italia oggi, un preziosissimo repertorio di personaggi e di gesti che mostrava ai lettori un indubitabile verità: le persone Lgbt che rivendicano diritti, fanno un favore a tutti, perché mostrano a tutti come lottare per i propri diritti. Anche nel caso di Conto i giorni felici. Cercando la felicità (e altre cose venute dopo), edito da Graphe.it, Gambino ci offre un libro talismano, una guida imprescindibile, che potrebbe aiutarci a “stanare” la felicità. La nostra personale felicità. Partendo dall’assunto che è un diritto e un’asportazione, quello alla felicità, che riguarda tutte e tutti, anche le persone Lgbt.
Ma, ammonisce l’autrice, «nessuno di noi è uguale all’altro, ognuno ha bisogni e tensioni diverse. È mosso da ispirazioni, sogni, speranze. Se vogliamo tentare di essere felici, il primo passo è questo: dobbiamo conoscerci». E allora, per conoscere meglio genesi e obiettivi di questo lavoro editoriale, raggiungiamo telefonicamente Daniela Gambino.
Come mai scrivere un libro sulla felicità proprio in questo periodo così poco felice della nostra storia? Ci vuole più coraggio a contare i giorni felici o quelli infelici?
È una ricerca che porto avanti da tempo, vorrei capire come stare meglio. Mi pare un diritto fondamentale, siamo in un periodo in cui, con la pandemia, l’angoscia è scoppiata, è diventata una specie di compagna, ed è una opportunità perché per una volta ci sentiamo giustificati, prima abbiamo vissuto una ansia vaga, per il futuro, adesso, siamo insieme. Siamo umani, lo sentiamo e percepiamo con forza. Adesso terremo l’angoscia come presenza, non significa che non torneremo ad essere felici, ma forse lo saremo meglio, sapendo che le nostre vite sono incluse in una specie di circolo, in cui gli eventi cambiamo inaspettatamente, è un gioco a cui stare, che vale sempre la pena. Più che coraggio a contarli, ci vuole coraggio a viverli sia i giorni felici che gli infelici, credimi, niente è visto con più pregiudizi della felicità, sembra sempre farlocca, stupida, abbiamo modellato le nostre vite su ideali d’impegno e fatica, su un sacrificio protratto nel tempo. Come fai a trovare il tempo per essere almeno rilassato senza qualcosa che ti pungoli continuamente ad andare avanti per migliorare?
Nel tuo libro, a proposito della felicità e dell’ideologia della felicità, evochi il discorso d’insediamento di Barack Obama del 2013. Credi che sia stato un segnale importante per le democrazie occidentali? Si potranno contare giorni felici con l’arrivo di Biden al posto di Trump?
Biden non lo conosco bene, ma Trump ha incarnato alcune aspirazioni tipiche di un certo tipo di self made man, che non conosce la sconfitta, che va avanti come un panzer, che non guarda in faccia a nessuno. È diventato un personaggio triste e questo è un bene, agli occhi del mondo, cioè Trump è stato utile, ha chiuso un certo tipo di politica che mostra i muscoli. Sembra strano che Trump sia stato il presidente che ha seguito Obama, che, appunto, ha aperto un dialogo profondo con la realtà, con il quotidiano e con le esigenze delle donne e della comunità Lgbt… Forse i tempi non erano maturi.
Nel capitolo Topi ballerini racconti, ricorrendo anche ad aneddotica privata, la relazione tra ballo e felicità. La vera protagonista del capitolo è Raffaella Carrà di cui ricordi giustamente il suo essere un’icona gay. Secondo te, come mai l’artista è stata da sempre un personaggio amatissimo dalla comunità Lgbt? Come si diventa icona gay?
Non lo so, mi piacerebbe essere una icona gay, come lei, confesso. Credo che la Carrà sia andata, inconsapevolmente, alla radice: ha inneggiato alla libertà sessuale, con leggerezza. Buona parte della felicità si gioca lì. «Il ballo è un’espressione verticale di un desiderio orizzontale» diceva George Bernard Shaw, Raffa ci ha detto: «Non c’è niente di male a divertirsi» e ha fatto un ballo suo, con coreografie più allegre, meno rigide, penso al Tuca Tuca. Così l’esplorazione del corpo è diventata una danza da prima serata, vista per quella che è: tenera, bella da vedere, facile da riprodurre. Il tuca tuca lo possiamo ballare tutti, è inclusivo.
Poiché nel tuo libro affronti anche il tema relativo alla relazione tra sesso e felicità, racconti anche l’impatto che ha avuto il Rapporto Kinsey relativamente alla comprensione dei comportamenti sessuali. Perché quest’opera è così importante per la comunità omosessuale? Il sesso rende davvero felici?
Certo che Il sesso rende felici, si supera il confine con l’altro. Il Rapporto Kinsey ha fatto domande dirette e banali e cosa ne viene fuori? Tutti facciamo sesso, in modo differente e uguale allo stesso tempo. Quindi, che ci spiega? Che chi lo fa in modo differente non compie niente di straordinario. Il sesso non è straordinario, continua la specie, l’omosessualità è nella natura, molti animali la praticano e quindi il modo in cui si vive influenza l’individuo e influenza la società. Una ricerca seria (sì, ci sono molte polemiche adesso sulla vita privata di Kinsey, non so quanto lecite, non me ne sono occupata ma i risultati, il modo in cui riverberano, restano interessanti), con domande precise, riporta tutto a questo: rilassatevi, non fate niente di straordinario, godetevela.
Infine, un capitolo lo dedichi anche al sogno della “famiglia felice”. Oggi, in Italia, tutte e tutti possono aspirare a una famiglia felice o ci sono persone che, a tuo parere, sono escluse da questa ambizione?
Nessuna famiglia si senta escluso dalla felicità. Personalmente in famiglia ho vissuto conflitti, nella mia e in quella dei miei compagni. Sono gli scontri, le idee, i saperi (in famiglia credono di sapere bene chi sei, ma non è sempre vero e si rischia di rispondere, in modo inconsapevole, a certe aspettative), quelli che ci portiamo dietro, che rischiano di formarci. La famiglia è una vera sfida, etero o omo. Quella allargata, la propria, questa serie di piccole tribù che sconfinano e si mischiano. Chi si sente di costruirla, che si getti a capofitto e buona fortuna. Riserverà anche qualche angoscia legare la propria vita a quella dei “congiunti”, come si dice adesso, ma la felicità non è scevra di angosce, ricordiamolo, la felicità è avere la forza di accogliere, curare, proteggere, è avere la forza di dire “qua mi sento io, qua mi sento bene”.
Per chi volesse saperne di più o volesse fare domande all’autrice, segnaliamo la diretta di sabato 16 gennaio, alle 17:30, dalle pagine Facebook di Antinoo Arcigya Napoli e Poetè, nell’ambito della Rassegna Poetè Social Edition.