Al suo secondo romanzo, dopo l’esordio di temperatura “bohémienne” con Confessioni di un ragazzo perbene scritto con lo pseudonimo di Andrea A. e pubblicato dalla storica casa editrice napoletana Dante & Decartes nel 2011, Nicola Campanelli, danzatore partenopeo che vive a Berlino e insegna pilates, torna in libreria con un nuovo lavoro narrativo, certamente più maturo e romantico, pubblicato dalla casa editrice fiorentina Smith: Il sole di notte.
Il romanzo racconta la storia di Andrea, un uomo che ha da tempo superato la fase di accettazione della propria sessualità. Grazie alle diverse esperienze con cui ha avuto modo di confrontarsi, Andrea ha raggiunto la consapevolezza sulla natura umana e sulla possibilità di intendere le relazioni interpersonali. All’improvviso, però, arriva l’amore, durante un viaggio in Messico, e innesca un percorso importante attraverso le proprie emozioni. Per saperne di più, contattiamo telefonicamente l’autore, Nicola Campanelli.
Il protagonista del tuo romanzo è Andrea, omosessuale di 40 anni. Come descriveresti il tuo personaggio? Quanto deve il protagonista del tuo romanzo alla dimensione biografica dell’autore?
Andrea è un uomo che pensa, forse anche troppo. Un uomo che analizza le cose, le situazioni e i sentimenti. È un uomo che ha faticato per riuscire ad accettarsi pienamente e che con ostinazione ha cercato di affrancarsi dalla tipica mentalità perbenista e benpensante che si respira in Italia, tanto da andare a vivere in un altro Paese. Eppure, nonostante le consapevolezze acquisite e l’equilibrio raggiunto, Andrea ha ancora molte insicurezze legate alla paura di essere ferito e di soffrire. Queste fragilità, che controlla e cerca di tenere nascoste, talvolta anche a se stesso, condizionano le sue scelte e, di conseguenza, le sue relazioni. Insomma, Andrea è un uomo risolto rispetto alla sua (omo)sessualità. Quello che deve ‘risolvere’, invece, è il dicotomico desiderio di amare e quello di restare solo, per paura di essere rifiutato. Tutto ciò che prova il protagonista, le sue convinzioni e i luoghi in cui si muove, sono tutte esperienze – psicologiche, emotive e sensoriali -, che ho provato, che conosco e che per questo posso descrivere. I pensieri e le vicende che racconto sono frutto di riflessioni e di fatti vissuti in prima persona o anche indirettamente, che poi ho collegato a episodi soltanto immaginari, ma in qualche misura reali, perché accaduti (a me o a qualche altra persona) in un momento della mia vita diverso. La storia narrata, dunque, è lo strumento attraverso il quale ho cercato di comunicare stati d’animo e problematiche in cui chiunque può identificarsi.
L’improvviso innamoramento porta Andrea a mettere in discussione le sue convinzioni e le sue difese. È davvero un sentimento funzionale quello che ci conduce a perdere totalmente il controllo di noi stessi? Soprattutto, un amore maturo può ignorare di fare i conti col futuro e con la pianificazione del rapporto di coppia?
Credo sia proprio questo il nodo della vicenda. Il problema del protagonista è quello di voler combattere e opporsi a quella perdita di controllo che l’amore, sentimento irrazionale per antonomasia, solitamente provoca. Se è vero che le esperienze di un uomo di quarant’anni pesano sul suo modo di vivere, è altrettanto vero che ci sono momenti in cui bisogna abbassare le difese per non perdersi il bello che ci sta accadendo. Più in generale, per rispondere alla tua domanda, credo che se da un lato sia importante lasciarsi andare ed essere nel presente (precetto dei nostri giorni), è impossibile non ‘preoccuparsi’ per il futuro. Il problema è raggiungere l’equilibrio tra queste due istanze: essere in grado di godere ciò che stiamo vivendo, anche perché sarà diverso da ciò che proveremo domani, e aver una progettualità che dia un futuro alla nostra relazione.
Il tuo romanzo restituisce al lettore anche l’idea che non esista una sola “ricetta” vincente per vivere l’amore. Qual è la ricetta vincente per Andrea? Nella comunità Lgbt emerge in maniera sempre più prepotente la soluzione delle cosiddette “coppie aperte”. Pensi sia una soluzione che salvaguardi davvero il rapporto di coppia?
Sì, è vero. In tutti questi anni ho avuto molte conferme del fatto che si possa stare insieme in tante forme diverse. Ho amici – e non mi riferisco soltanto a coppie gay – che hanno deciso le loro proprie regole per stare insieme il meglio possibile. Ovviamente, uscire fuori dagli schemi è sicuramente più semplice per chi non ha figli, per chi è molto giovane e non vuole ‘rinunciare’ a fare esperienze o ancora per chi considera la sessualità come qualcosa che può anche prescindere da quel sentimento d’amore che ci lega a una persona in modo romantico. Per quanto riguarda Andrea, la ricetta è la monogamia, ma credo che non si possa mai esser certi di non cambiare idea. In fondo non è detto che il rapporto umano alla base di una qualsiasi unione non sia più importante del desiderio sessuale. Credo che sia una questione di momenti della vita, di età e di priorità. Dal mio punto di vista, ciò che nel modo più assoluto si deve evitare è credere di avere la risposta per tutti. Quello che vale per me non è detto che sia la soluzione giusta per gli altri, e viceversa. Esprimere giudizi solo perché non si condivide l’altrui modo di vivere o di amarsi è un atteggiamento meschino che ferisce altre persone. Se, come dicevo, a seconda dell’età o delle esigenze molte idee possono cambiare, questa è una delle poche cose di cui ho granitica certezza!