A fine 2020 Amazon Prime Video ha distribuito anche in Italia, sulla propria piattaforma streaming, Uncle Frank (Zio Frank). Scritto e diretto da Alan Ball, il film racconta il ritorno a casa, nella piccola cittadina di Creekville (Carolina del Sud) del protagonista Frank, gay e docente universitario a New York, per la morte del padre, maschilista e omofobo, da cui era fuggito per realizzarsi professionalmente e sentimentalmente.
Siamo nel 1973: i Moti di Stonewall hanno già avuto luogo, la comunità omosessuale di New York si sta emancipando e sta acquisendo visibilità. Ma la dimensione della provincia, soprattutto quella del sud, resta retriva e ultraconservatrice. Il ritorno a casa di Frank (interpretato magistralmente da Paul Bettany), diventa allora una sorta di “discesa alle Madri”, un doloroso redde rationem con se stesso, con le proprie radici e con la memoria di un’adolescenza segnata dal rifiuto del padre e dalla morte di un grande amore.
Frank, però, non torna a casa da solo. In questo viaggio “iniziatico” è accompagnato da due “aiutanti”: Walid, il suo compagno, che ne contiene la disperazione e l’istinto autolesionista (interpretato dal bravissimo Peter Macdissi) e Beth, la nipote diciottenne che, come lo zio, è fuggita a New York per studiare e smarcarsi dalla cappa asfissiante del bigottismo provinciale (apprezzabile interpretazione di Sophia Lillis).
I demoni interiori con cui deve lottare Frank sono tanti e feroci. Nel suo viaggio, per sopravvivere e avere la meglio sui suoi demoni, Frank dovrà riconciliarsi con paure e debolezze, dovrà affrontare lo stigma che ha interiorizzato in quanto omosessuale, dovrà attraversare il senso di colpa e la frustrazione per non aver tenuto testa a un padre-padrone che, in vita, l’ha sempre disprezzato e umiliato.
Un film, Uncle Frank, che non racconta solo la temperatura emotiva ed esistenziale della comunità gay negli Stati Uniti di inizio anni ‘70, ancora sospesi tra liberazione e repressione. Ma anche la difficoltà, ancora attuale, di raccontarsi e mettersi a nudo in quanto “non conformi”, affrontando i sentimenti che ci rendono fieri ma anche quelli di cui ci vergogniamo e da cui, a torto o a ragione, fuggiamo per tutta la vita, procrastinandone la soluzione e rinviando la nostra necessaria pacificazione col passato.