76 anni fa le truppe dell’Armata Rossa entravano nel più grande campo di sterminio della storia dell’umanità. Ad Auschwitz, a circa 60 chilometri da Cracovia, era stato costruito il gigantesco lager con forni crematori – al pari di tanti altri nella Polonia allora occupata come, ad esempio, Birkenau e Treblinka –, struttura in cui persero la vita milioni di ebrei, omosessuali, detenuti politici, rom e sinti, criminali comuni, apolidi (gli immigrati di quel tempo), testimoni di Geova, prigionieri di guerra, malati psichici. Si calcola che le strutture di detenzione e i lager veri e propri nella Germania nazista fossero addirittura 40mila.
Oggi si celebra appunto la Giornata della Memoria con iniziative sul web, molte trasmissioni televisive e poche iniziative in presenza a causa dell’epidemia da Coronavirus che, iniziate già da giorni, proseguiranno nella settimana in corso.
Film, documentari, materiale audio e video dell’epoca, che ci ricordano l’orrore nazista nell’Europa occupata dalle truppe di Hitler. Tuttavia a questa riflessione manca da tempo un tema urticante: come mai, pur conoscendo ciò che stava avvenendo, gli “alleati” non hanno mai cercato di ostacolare i treni che portavano i prigionieri, soprattutto ebrei, nei campi di concentramento? Perché i lager, di cui si conosceva bene l’ubicazione attraverso foto aeree, non furono mai bombardati? Eppure, il tema dello sterminio nazista fu al centro del processo di Norimberga, dove i principali gerarchi di Hitler vennero processati e, in alcuni casi, anche giustiziati. L’orrore nazista da allora in poi divenne memoria imperitura. Ma gli interrogativi appena posti rimangono tutt’ora irrisolti e senza risposta.
Nell’aprile del 1944 due eroici internati riuscirono, dopo mille peripezie, a fuggire dall’universo concentrazionario di Auschwitz e a riparare in Slovacchia. La fuga aveva lo scopo principale di lanciare al mondo l’allarme su ciò che stava avvenendo durante il secondo conflitto mondiale. La decisione dello sterminio o “soluzione finale” era stata presa, il 20 gennaio 1942, dal vertice nazista presieduto da Heydrich nella tristemente nota Conferenza di Waansee.
I fuggiaschi potettero mettersi in contatto con la resistenza ebraica in Slovacchia e, sulla base della loro testimonianza, furono redatti i dettagliati “Protocolli di Auschwitz”. Essi sono principalmente conosciuti sotto il nome dei loro autori, Walter Rosenberg (nome di battaglia di Rudolf Vrba) e Alfréd Wetzler, ma raccoglieranno anche il report Rosin-Mordowicz e il resoconto di Jerzy Tabeau.
I protocolli arrivarono dapprima sulla scrivania di Roswell McLelland, componente del Comitato dei rifugiati di guerra, che ne inviò un sunto in Usa tramite cablogramma a John McLoy. Ma il vicesegretario della Guerra non prese nessuna iniziativa. Qualche mese dopo la documentazione giunse anche a Londra e, a quanto pare, Churchill in persona ne fu informato. La notizia si diffuse grazie alla Bcc e fu pubblicata con grande evidenza, a fine novembre del ’44, anche dal New York Times. Precedentemente 40mila persone avevano manifestato a New York per chiedere il bombardamento dei lager in Germania e Polonia, richiesta fatta propria dal Congresso mondiale ebraico. A quel punto nessuno poteva più dire di non conoscere ciò che avveniva nel lager nazisti.
La questione fu discussa a Londra ma non se ne fece nulla: perché? Difficile dirlo, siamo nel campo delle ipotesi: il bombardamento dei lager non era ritenuto “prioritario”; si temeva che “distrarre” aerei e risorse belliche avrebbe potuto rallentare l’invasione della Normandia; qualcuno sostenne che un bombardamento si sarebbe ritorto contro gli stessi internati; c’è chi parlò persino di “ebrei piagnucolosi”. L’unico bombardamento su Auschwitz avvenne per caso in seguito a una operazione bellica su uno stabilimento di gomma a sei km di distanza. Sta di fatto che non se ne fece nulla: ciò rimane una grande macchia di quel periodo e di quella tragica storia di sterminio industriale di massa.
Le cose non migliorarono nel dopoguerra, perché l’avvio della Guerra fredda (copyright di Winston Churchill nel suo famoso discorso al Congresso americano del 1946) sconsigliava di “esagerare” con processi e punizioni dei colpevoli. La Germania Federale divenne rapidamente l’avamposto occidentale contro l’espansionismo sovietico.
E così, mentre i gerarchi nazisti trovavano rifugio in America Latina con varie complicità, nessuno voleva ospitare i prigionieri dei lager che non volevano rientrare, comprensibilmente, nei paesi d’origine. L’Inghilterra non li voleva accogliere nel proprio territorio, gli Usa nemmeno e persino l’emigrazione verso la Palestina veniva ostacolata. Molti prigionieri rimasero per mesi nei campi di detenzione. Alcuni vennero trasferiti nelle carceri, tra cui diversi omosessuali in conseguenza delle leggi criminogene antigay vigenti nella maggior parte dei paesi europei. Altri vagarono senza meta in Europa e nei territori controllati dai sovietici.
Esistono molte testimonianze in materia, tra cui il famoso film Exodus con Paul Newman: in esso si racconta la storia di migliaia di ebrei che, stipati in una bagnarola acquistata a caro prezzo, approda alla fine di mille peripezie in Palestina. Il film documentario di Bernstein e Hitchcock, basato sulle immagini orribili di ciò che videro e ripresero all’ingresso dei lager, venne proiettato solo decenni dopo la sua realizzazione interrotta nel dopoguerra. Gli stessi internati tendevano a “dimenticare” e a non raccontare ciò che avevano vissuto per timore di non essere creduti. Molti di loro hanno cominciato a testimoniare l’orrore vissuto solo decenni più tardi e, fino al processo Eichmann del 1961, il mondo non conoscerà i dettagli dello sterminio. Si veda, al riguardo, il capolavoro La banalità del male di Hannah Arendt .
In sostanza, tutto ciò dimostra che l’odio verso gli ebrei e verso i diversi non era appannaggio esclusivo dei nazisti pure se, beninteso, la loro responsabilità principale rimane indiscutibile. Anche oggi infatti serpeggiano ovunque razzismo, odio e fastidio verso le minoranze e la stessa Italia non ne è esente: si pensi allo scontro parlamentare sulla legge antiomofobia alla Camera nell’autunno scorso, guarda caso anche quella definita dalla destra “non prioritaria”. In 69 paesi rappresentati all’Onu l’omosessualità è ancora reato. In 11 paesi, inoltre, è prevista la pena di morte e in cinque di essi – ma in Somalia e Nigeria solo in alcune provincie – praticata. Per non parlare dell’antisemitismo ancora all’opera, come abbiamo visto di recente tra i gruppi di estrema destra che hanno assaltato Capitol Hill a Washington.
A noi non resta che ricordare l’infamia comportamentale della destra italiana – che da sempre definisco “la peggiore d’Europa” –, quando nel 2000, in sede di approvazione della legge sull’istituzione del Giorno della Memoria, minacciò di non votarla se fossero stati menzionati rom e omosessuali. Stessa cosa era successa nel 1993 durante il dibattito sulla legge Mancino con l’esclusione delle tutele e delle pene per i reati compiuti in base all’orientamento sessuale.
31 anni fa a Bologna si inaugurò il primo e finora unico monumento a terra in ricordo dello sterminio delle persone omosessuali nei lager nazisti. Una targa ricordo fu poi scoperta nella risiera di San Sabba a Trieste, ex campo di concentramento, e altre ne sono state inaugurate in varie città italiane. In altre comuni è in discussione la costruzione di monumenti ricordo degli orrori nazifascisti.
Devo però anche dire con altrettanta franchezza che le ambiguità di quella storia non sono ancora state sviscerate, mentre molti presupposti base della dittatura nazista sono ancora in essere e rappresentano un pericolo reale. Proprio per questo la legge contro l’omotransfobia in Italia deve essere vista anche come parziale risarcimento delle persecuzione passate e i gruppi neonazisti devono essere sciolti e considerati come terroristi. Su questo non ci può essere il minimo dubbio.
P. S. Per chi vorrà approfondire e documentarsi su quanto trattato in questo editoriale potrà vedere su Dplay il docu in esclusiva Bombe su Auschwitz?, speciale per la Giornata delle Memoria. Non si può che fare i complimenti al canale televisivo Nove per i numerosi contributi trasmessi sul tema in questi giorni.