Sono sospettati di sostegno al terrorismo il 17enne Ismail Isayev e il 20enne Salekh Magomedov, i due ceceni omosessuali, che, riparati in luglio a a Nižnij Novgorod a est di Mosca e ricondotti forzatamente giovedì in patria da agenti delle forze speciali russe, sono attualmente presso il centro di detenzione temporanea del distretto di Urus-Martan.
Domenica Akhmed Dudayev, consigliere del presidente ceceno Ramzan Kadyrov e responsabile del Dipartimento per l’informazione e la stampa, ha assicurato che i due giovani avevano «confessato di aver prestato aiuto a un componente di un gruppo armato illegale», ucciso durante un’operazione delle forze antiterrorismo il 20 gennaio.
Ma, come subito replicato da Mark Alekseev (uno dei due avvocati di Russian Lgbt Netwok, giunti sul posto, ai quali è stato finora vietato di incontrare Isayev e Salekh), «la confessione è stata molto probabilmente ottenuta attraverso minacce e pressioni». Si sarebbe dunque di fronte a un’accusa chiaramente pretestuosa tanto più che in aprile i due giovani erano stati già arrestati, detenuti, torturati come moderatori di un canale Telegram di opposizione nonché come omosessuali e poi costretti a girare un filmato di scuse in cui dicevano di «non essere uomini».
Intanto l’altroieri la Corte europea dei diritti dell’uomo, concordando con le argomentazioni di Veronika Lapina, rappresentante di Russian Lgbt Network, ha ordinato alla Federazione Russa di adottare misure urgenti nei riguardi di Isayev e Salekh se effettivamente in stato di custodia. La Corte ha parlato di visite immediate da parte di professionisti sanitari indipendenti e di accesso ai loro legali e ai parenti stretti.