Un romanzo a due mani, l’autore Robert V. Horvath, nato a Indianapolis ma oggi residente a Budapest, e il collaboratore italiano Angelo Bellanovi. Queste partecipazioni nascono da un’idea di Andrea Bergamini, fondatore di Playground e direttore del nuovo marchio Syncro/Europa, che sta cercando di sostenere una nuova produzione letteraria a tematica Lgbt di respiro europeo. Il fine è quello di far conoscere conoscere i nuovi modi di vivere l’omosessualità che si stanno affermando nei diversi Paesi del nostro continente. Un continente in buona parte colorato di arcobaleno, ma con numerose sacche di resistenza interna ancora intrise di omofobia sparse qua e là.
Nel precedente romanzo della stessa collana, Diario svedese, del 2019, il giovane autore Björn Holmgren ci aveva raccontato una realtà scandinava anche sorprendente e di avanguardia nell’ambito delle libertà personali e sociali ma comunque ancora permeata da contraddizioni.
In questo romanzo, Radio Budapest (Syncro/Europa 2020, pp. 188, €14), sembra invece di essere ripiombati indietro fino agli anni ’50 in tema di libertà personali e libertà di associazionismo Lgbt. La storia è ambientata in una Budapest contemporanea, dominata dal potere politico e culturale Fidesz, che governa da vari anni l’Ungheria. Il partito di destra fascistoide, come noto, è guidato dal primo ministro Viktor Orbán, che non ammette il dissenso e, attraverso una costante propaganda anti Lgbt, sta cercando di marginalizzare un’intera fetta di popolazione omosessuale, spingendola al silenzio e all’invisibilità. Ma il libro non è un trattato di politica, anche se la politica non può non emergere attraverso le vite dei personaggi e le loro vicende, private e pubbliche, che si scontrano con la difficile realtà ungherese.
Il protagonista è un giovane americano, lo stesso autore probabilmente, che si è trasferito a Budapest per completare la ricerca universitaria, attratto anche dalle origini ungheresi della sua famiglia. Cercando di ambientarsi in una città che sente come poco accogliente, Bob prova a fare nuove conoscenze e tramite un incontro casuale con Kaspar, un berlinese che ha un fidanzato a Budapest, entra a far parte di un gruppetto di gay decisamente nascosti, decisamente benestanti e, come presto scoprirà, anche molto vicini alle stanze del potere. Di quel gruppetto, infatti, fa parte Tibor, un giovane dalla carriera politica molto promettente, già divenuto un pezzo grosso di Fidesz e molto vicino ad Orbán. Tibor è colto e affascinante e prova da subito una forte attrazione per Bob. Ma ha un problema, anzi più di uno: è gay ma non può rivelarlo perché ha una moglie, due figli ed è un politico di un partito dichiaratamente omofobico. Nonostante questo tra i due inizia una relazione.
Parallelamente il giovane conosce e inizia a frequentare un altro gruppo gay che, all’opposto del precedente, fa della visibilità e della testimonianza in prima persona il proprio credo personale e politico. Bob stima molto Lázló che di quel gruppo è l’elemento trascinante, pieno di idee e di coraggio, ma diventa amico anche di Andras, di Llona e degli altri. Si sente coinvolto dall’attivismo del gruppo e si lascia convincere a diventare anche protagonista di una campagna pubblicitaria fortemente gay friendly e molto provocatoria per l’Ungheria di oggi. Ma questa scelta lo porterà a confliggere con l’altro gruppo di amici gay (i più grandi velati d’Ungheria, ci dice l’autore attraverso uno dei personaggi) e soprattutto a rompere la relazione con Tibor, non senza conflitti, ripensamenti e delusioni.
Il personaggio di Tibor, inventato ben prima dello scandalo dell’europarlamentare ungherese sorpreso in una mega orgia gay in piena pandemia a Bruxelles, assomiglia molto al protagonista reale József Szájer. Quest’ultimo era, fino al momento dell’irruzione della polizia nella notte tra il 27 e il 28 novembre scorso, un fedele e potente componente di Fidesz, dichiaratamente omofobo, sostenitore della famiglia ultratradizionale, e molto vicino ad Orbán. Ma una volta smascherato ha dovuto dimettersi. Questa incredibile coincidenza fra la finzione del romanzo e la vita vera ci conferma ancora una volta che la realtà talvolta supera l’immaginario e in questo caso, infatti, è il deputato ungherese a farla più sporca, mentre Tibor, facendo della rinuncia dolorosa la cifra segreta del suo successo, prosegue dritto a beneficio della sua carriera politica e della sua famiglia da cartolina.
Nel romanzo ci sono anche altre situazioni interessanti, come il riferimento a Chiamami col tuo nome – in quest’occasione in forma di rappresentazione teatrale (noto in Italia soprattutto per la versione cinematografica di Luca Guadagnino) – oppure come la storia dell’enigmatico János, personaggio importante nella trama del racconto, che compie un percorso di maturazione personale dopo un violento attacco omofobico da parte delle autorità pubbliche ungheresi.
Radio Budapest è un testo che si presta a essere letto anche da adolescenti Lgbt perché conduce con tocco lieve ad affrontare temi cruciali come quello dell’identità, della visibilità, dell’associazionismo. Ma è una lettura interessante anche per noi adulti perché ci mostra dall’interno un pezzo della realtà ungherese, che la maggioranza conosce solo attraverso i titoli dei media, facendoci capire un po’ di più le problematiche di un Paese europeo che ha sterzato fortemente a destra e sta comprimendo pericolosamente non solo i diritti delle persone Lgbt, ma della società tutta.