Sono state depositate oggi le motivazioni delle sentenze 32 e 33 della Corte Costituzionale, che il 28 gennaio aveva dichiarato inammissibili sia «la questione del riconoscimento dello status di figli per i nati mediante tecnica di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata all’estero da due donne» sia quelle «di legittimità sollevate dalla Cassazione sull’impossibilità di riconoscere in Italia, perché in contrasto con l’ordine pubblico, un provvedimento giudiziario straniero che attribuisce lo stato di genitori a due uomini italiani uniti civilmente, che abbiano fatto ricorso alla tecnica della maternità surrogata».
Ma già le rispettive note, diffuse all’epoca dall’Ufficio stampa della Consulta, avevano preannunciato il deciso richiamo della Corte al legislatore per garantire piena tutela ai figli di coppie omogenitoriali.
Nello specifico la sentenza 32 (redattrice Silvana Sciarra) fa riferimento a precedenti decisioni della Corte costituzionale da cui emerge, con riferimento agli articoli 2, 30 e 31 della Costituzione, la costante attenzione al miglior interesse del minore, anche nato da pma prima ancora che la pratica della fecondazione eterologa fosse disciplinata. Dalle stesse si rileva altresì la valorizzazione della «genitorialità sociale», se non coincidente con quella biologica, poiché il dato genetico non è requisito imprescindibile della famiglia.
«Nella sentenza – si legge nel relativo comunicato odierno – si citano gli strumenti internazionali dei diritti umani e la giurisprudenza delle due Corti europee, per far emergere un quadro ampio e sinergico di riferimenti alla tutela degli interessi “preminenti” e “migliori” dei minori nello stabilire legami con entrambi i genitori. L’identità dei figli, centrale nelle decisioni della Corte di Strasburgo, finisce con l’essere “incisa quale componente della sua vita privata”, se non si stabilisce un legame affettivo stabile, rafforzato dalla filiazione. La Corte costituzionale ha indicato, in via esemplificativa, gli ambiti entro cui potrebbe svolgersi l’intervento del legislatore per assicurare adeguata tutela ai minori: dalla riscrittura delle previsioni sullo status filiationis, a una nuova tipologia di adozione che garantisca tempestivamente la pienezza dei diritti dei nati».
Nella sentenza 33 (redattore Viganò) la Corte Costituzionale ha ribadito il divieto, penalmente sanzionato, della maternità surrogata. Ma, come si legge nel relativo comunicato, ha anche osservato che «la questione ora sottoposta alla sua attenzione è focalizzata sui “migliori interessi” del bambino nei suoi rapporti con la coppia (omosessuale o eterosessuale) che abbia condiviso il percorso che va dal suo concepimento, in un paese in cui la maternità surrogata è lecita, fino al suo trasferimento in Italia, dove la coppia si è presa quotidianamente cura del bambino. In questa situazione l’interesse del minore è quello di “ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che nella realtà fattuale già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia, ovviamente senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surrogata”. Questi legami sono, infatti, parte integrante della stessa identità del minore, che vive e cresce nell’ambito di una determinata comunità di affetti; il che vale anche se questa comunità sia strutturata attorno ad una coppia composta da persone dello stesso sesso, poiché l’orientamento sessuale non incide di per sé sull’idoneità ad assumere la responsabilità genitoriale».
Allo stesso modo la Corte ha riconosciuto che gli interessi del bambino possono essere bilanciati con la finalità legittima di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata, vietata dalla legislazione statale, sottolineando come la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo non imponga l’automatico riconoscimento di eventuali provvedimenti giudiziari stranieri di riconoscimento della doppia genitorialità ai componenti della coppia (eterosessuale od omosessuale) che abbia fatto ricorso all’estero alla maternità surrogata. In tal caso, tuttavia, occorrerà assicurare la tutela degli interessi del bambino al riconoscimento del suo rapporto giuridico anche con il genitore “intenzionale” «attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino».
Per Alessandro Zan (Pd) «queste sono solo le ultime delle tantissime esortazioni che la magistratura ha inviato al Parlamento affinché la dignità e i diritti di tutti i bambini siano pienamente riconosciuti dallo Stato Italiano e venga posta la parola fine a una discriminazione insopportabile che dura da troppo tempo. Chi nega l’urgenza di riconoscere questi diritti, nega la realtà. Ancora una volta la politica e le istituzioni sono in ritardo rispetto alla società».
Per il noto avvocato Alexander Schuster, uno dei legali sia di una delle due mamme venete sia della coppia di papà veronesi (dei cui due casi è stata diversamente interessata la Consulta), si tratta di sentenze importanti, segnanti un punto di svolta. Anche se entrambe poi cedono il passo al limbo della discrezionalità del legislatore, «il quale, se la storia degli ultimi decenni non l’avesse fatto intendere, ammesso che intervenga, non interverrà certo con tempi adeguati per tutelare già oggi» tali minori.
Soddisfazione è stata espressa anche da Gianfranco Goretti, presidente di Famiglie Arcobaleno, che, contattato da Gaynews, ha parlato «dell’enorme importanza delle due sentenze. Certo, che se la Corte avesse colmato l’ingiustizia rilevata, saremmo stati più contenti. Ora il Parlamento non può essere più fare il sordo dopo tali autorevoli richiami. È necessaria una legge per la piena tutela dei nostri figli e delle nostre figlie. È quanto Famiglie Arcobaleno va chiedendo da 15 anni e ribadendo, in maniera più incisiva, negli ultimi tre mesi con la campagna e la raccolta firme, che ha già superato le 28.000 adesioni».