Nato a Milano nel 1948, Ezio Sinigaglia è docente di scrittura all’Università di Milano Bicocca e in altre sedi. Dopo Il Pantarèi (1985) ha continuato a coltivare in privato la sua voce narrativa e, a 30 anni di distanza dal romanzo d’esordio, ha dato alle stampe nel 2016 per i tipi Nutrimenti Eclissi, che a febbraio 2020 è risultato vincitore del concorso “Modus Legendi”. Nel 2019 la casa editrice TerraRossa ha ripubblicato Il Pantarèi, mentre nel 2020 ha fatto uscire L’imitazion del vero, candidato al Premio Strega.
Gaynews gli ha posto alcune domande, su scrittura, omosessualità e vita.
La tua vicenda di lavoratore editoriale e di scrittura è costellata di pulsazioni ed intermittenze, vuoi parlarcene?
È vero: c’è una sorta di schizofrenia, sia nel senso di una doppia vita (scrittore per conto terzi e scrittore per me stesso) sia in quello di una continua oscillazione fra un interesse e l’altro all’interno di ciascuno di questi due “mestieri”. La prima di queste dicotomie è stata fortemente condizionata dalle vicende del mio romanzo d’esordio: la mancata pubblicazione del Pantarèi negli anni 1980-84 (cioè fra i miei 32 e 36 anni) e la sua pubblicazione, fuori tempo massimo, nel 1985 hanno segnato il mio destino lavorativo per i successivi trent’anni, costringendomi a mettere il mio talento al servizio delle imprese – e degli imprenditori – più svariati, come del resto avevo già fatto prima e durante la stesura del Pantarèi. L’attività di scrittore è stata così relegata allo status di hobby o di vizio, secondo il modello inaugurato gloriosamente nella nostra letteratura da Italo Svevo. La conseguenza più macroscopica di questo paradosso è consistita nell’assottigliarsi della mia produzione, che è venuta a concentrarsi in alcuni progetti distanziati l’uno dall’altro, come piccole isole, da ampi bracci di mare. Una collezione abbastanza cospicua di incompiuti sta a testimoniare di queste intermittenze della mia ispirazione, cagionate più dall’esiguità del mio “tempo libero” (il tempo riservato appunto agli hobby e ai vizi) che non da una insufficienza di energia vitale o di determinazione della volontà. A complicare il quadro ha però contribuito la seconda sindrome schizofrenica, quella cioè interna a ciascuno dei miei due campi di attività. Nella mia professione (collaboratore editoriale con qualche ambizione di pubblicitario creativo) ho accettato via via tutte quelle proposte di collaborazione che non erano una ripetizione delle precedenti e, con particolare soddisfazione, tutti quei lavori che, sulle prime, non ero capace di fare per la semplice ragione che non li avevo mai fatti. Questo mi piaceva molto: mi garantiva un periodo iniziale segnato da varie difficoltà di apprendimento e, quindi, sicuramente non noioso. Lo stesso impulso a un continuo rinnovamento ha caratterizzato la mia attività clandestina di scrittore: mai una seconda volta, sempre un romanzo completamente nuovo e senza precedenti, sempre un progetto che, a priori, mi appariva irrealizzabile. Qualcuno potrebbe osservare che, con questa fissazione del nuovo, mi sono reso la vita ancor più difficile… Ma io resto contento che le cose siano andate come sono andate, perché – a dispetto delle premesse – sono riuscito a vivere una vita divertente.
Daniele Stern, il protagonista del tuo primo romanzo, Il pantarèi, vive in modo profondo e spiazzante il rapporto tra sessualità e scrittura. La scrittura sembra partire dal desiderio, esserne plasmata e plasmarlo, in un processo discontinuo ma pervasivo. Ci vuoi parlare del rapporto tra sessualità e scrittura, che nel tuo ultimo lavoro, L’imitazion del vero, assume anche forme ironicamente filologiche?
Sono profondamente convinto che il vero scrittore sia spinto a scrivere da una necessità interiore, da una forza che lo piega e cui non può resistere. Non è sempre facile acquisire una completa e chiara consapevolezza di questa necessità e soprattutto della sua origine, della sua causa primaria. Tuttavia a me sembra evidente che alla base di quella che con una parola ormai fuori moda chiamerei “vocazione” ci sia un nodo di disagio, un principio di ribellione verso e contro il mondo in cui si è caduti alla nascita e che spesso, dopo una fase iniziale di idillio, si rivela ostile. Per me l’esperienza determinante è stata la scoperta della sessualità, di un desiderio ardente e insieme volubile, oscillante, ma che, pur nel suo ondeggiamento, si collocava sempre a una distanza abissale da ciò che era ammissibile, da ciò che il mondo si aspettava da un bravo ragazzo come me. La necessità di scrivere, in me, è certamente nata da lì, da un desiderio famelico che andava contro ogni regola. Devo essere immensamente grato a quegli anni di silenzioso tormento che furono quelli della mia adolescenza. Per diventare adulti occorre mettere in discussione le idee ricevute ed elaborarne di nuove, concepire il sospetto di una sostanziale estraneità all’ambiente in cui siamo cresciuti, covare dentro di noi il progetto lacerante del tradimento. È un processo doloroso, difficile e lento, per affrontare il quale bisogna poter disporre di uno stimolo formidabile. E quale stimolo può essere più forte, più indomabile del desiderio erotico? Con queste premesse, non c’è da sorprendersi se il tema della sessualità innerva di sé tutto ciò che ho scritto. Nei miei romanzi quel di cui si va in cerca è sempre un principio di illuminazione, la minuscola fiamma di un cerino che si accende all’improvviso nella tenebra della nostra (mancata) conoscenza di noi stessi. E il desiderio erotico è la scintilla più verosimile, più efficace e spesso, se così posso dire, anche la più graziosa. Senza contare che, a dispetto degli apparenti progressi di questi ultimi anni, il tema dell’omo- e della bi-sessualità è tuttora in grado di produrre quell’effetto perturbante in assenza del quale non mi sembra che possa esistere la vera letteratura.
Daniele Stern, il cui nome vuol dire “stella”, si autodefinisce come buco nero; Eugenio Akron, protagonista del tuo secondo testo, Eclissi, con evidente riferimento a un buon genio atemporale (a-kronos). La tua scrittura si incrocia passionalmente con l’astrofisica, non solo come metafora. Ci vuoi parlare di questa contiguità di campi?
Direi, parafrasando insieme Nietzsche e Kant, che, se Dio era morto prima che io nascessi, in compenso il cielo stellato stava ancora, e insiste a stare ancor oggi, sopra di me. In una società che ci spinge sempre più imperiosamente a occuparci soltanto di cose concrete e di scarsissimo momento, cioè in ultima analisi di denaro (che sia per sete di potere o per necessità di sopravvivenza), lo spazio dell’astrazione, del nutrimento dello spirito, della trascendenza è diventato esiguo nella vita diurna, ma di notte continua a spalancarsi immenso sopra e intorno a noi. E l’arte è un’attività notturna, alternativa. Se si vuole praticarla, bisogna trovare una strada che porti a un dialogo con il trascendente. Le mie strade privilegiate sono sempre state due: l’erotismo e l’astronomia. Anche quest’ultimo, come quello dell’erotismo e come, a ben guardare, tutti gli altri, è un tema che cerco di trattare con una buona dose di ironia (l’identificazione di Stern con un buco nero credo ne sia l’esempio più parlante): ma ciò non toglie che all’origine di questo “incrocio” ci sia una vera e propria fascinazione per il cielo notturno e, più in generale, per i misteri della Natura.
Blanchot ha visto lo spazio letterario come spazio del “neutro”, una sorta di buco nero in quella che lui chiama “la folie du jour”. È una concezione troppo schematica o è ancora, in gran parte, cruciale per chi voglia scrivere romanzi non solo per il mercato?
A questa domanda mi sembra di avere in qualche misura già risposto, non solo ipotizzando che alla base della necessità di scrivere vi sia un precoce atto di ribellione all’ordine del mondo, ma anche mettendo in relazione la letteratura con il trascendente, cioè precisamente con ciò che non appartiene, non dico a questa Terra, ma piuttosto al terra-terra del vivere quotidiano. Sì, la letteratura è uno spazio a sé, su questo concordo. Ma, benché io sia uno scrittore che si è sempre appassionatamente interrogato su sé stesso, sul suo mestiere e sulla funzione e il destino della letteratura (tanto da aver esordito con un romanzo sul romanzo), rifuggo dalle astrazioni estreme di certe scuole teoriche e, più in generale, non credo che un’eccessiva erudizione possa giovare al romanziere: al contrario sono convinto che gli sia d’ostacolo nel suo lavoro di artigiano, che consiste nell’impastare realtà e finzione, materiale e immateriale, basso e alto, e insomma nel corteggiare il divino con i semplici arnesi del romanzo: un filo narrativo, una manciata di personaggi, uno spazio in cui farli muovere. Perciò non sono mai stato un avido lettore degli strutturalisti francesi e, ancor oggi, quando mi imbatto in certe loro illuminazioni, continuo a trovarle oscurissime.
Progetti per il futuro. Libri a venire.
Mah, avere progetti alla mia età non è facile. Da anni ne coltivo uno importante, che ho sempre chiamato per semplicità “Il pantarèi del giallo”: un romanzo dove si alternino una parte narrativa (un giallo) e una parte saggistica sulla letteratura poliziesca, osservata dall’insolito punto di vista della figura dell’assassino. Ci ho lavorato molto, sia in teoria che in pratica: ma si tratta di un’impresa estremamente impegnativa e, per portarla a compimento, avrò bisogno di recuperare tutta la mia energia vitale. Progetti molto più facili da realizzare consistono nella pubblicazione dei libri già scritti: prima di tutto le due parti in cui, con l’editore TerraRossa, abbiamo deciso di dividere il mio romanzo più lungo, Fifty-fifty (la prima metà in uscita il prossimo aprile, la seconda all’inizio del 2022), e poi gli altri due inediti che vorrei vedere trasformarsi in editi: un romanzo breve intitolato Grave disordine con delitto e fuga e una sorta di autoanalisi, Sillabario all’incontrario. Ho anche un paio di raccolte di versi (tre poemetti chiamati Contrattempi e una trentina di sonetti) che mi piacerebbe vedere stampati. Insomma, sono partito col dire che avere progetti alla mia età non è facile, ed ecco che ho elencato la bellezza di sei libri da pubblicare! Mi sembra che bastino e avanzino, come grazia da chiedere al destino.