Era il 1970 quando incontrai per la prima volta Orietta Berti. Ero giovane e lei era agli inizi della stagione di grandi successi. Orietta venne a fare un concerto ad Aradeo (Le), mio paese natale, in occasione della festa patronale di san Nicola: il palco era stato situato accanto ai locali della macelleria di famiglia, che in quell’occasione con la gioia di una sua fan speciale, mia madre Nina, diventarono “il camerino” di Orietta.
Poi dopo anni, nel 2014, la invitai come ospite canora del mio ex festival torinese Da Sodoma a Hollywood. Ricordo un’Orietta entusiasta dichiarare: «Ho partecipato con molto piacere a questo evento perché è un esempio a favore dei diritti civili di tutti, di ognuno di noi. È un segno di libertà e rispetto che va a contrastare l’omofobia e i pregiudizi che spesso vengono utilizzati nei confronti di coloro che hanno deciso di dichiarare la propria omosessualità».
Orietta, è stato un Sanremo fantastico: dopo 29 anni sei riuscita a riprenderti quel palco come fosse lo stesso che tu calchi da 55 anni. Da dove arriva questa energia, oltre al peperoncino giornaliero?
Caro Giovanni, dopo il Covid, che ho per fortuna superato, avevo una stanchezza anomala data dagli strascichi del virus. Fortunatamente il mio medico, il dott. Fausto Torelli, mi ha consigliato una cura ricostituente a base di vitamina B, C e D. Curarsi è fondamentale e fare attenzione in questo periodo è doveroso. L’energia e la voglia di mettersi sempre in gioco per ogni nuovo progetto viene da questa mia vita, da questo mestiere di cantante che ti obbliga a “ricominciare ogni giorno da capo come se fosse il primo”. Come dicevano in Via col vento, «domani è un altro giorno» e, da quando ho iniziato nel 1965, è sempre stato così. È molto emozionante, anche se spesso può essere stressante, perché non ci si può rilassare mai. Tornare a Sanremo dopo 29 anni invece è stata una grande emozione, anche perché dopo quello del 1992, vissuto insieme al caro Giorgio Faletti, avevo deciso di non tornare. Quello con Giorgio fu un Sanremo divertentissimo, come era lui, e ho dei ricordi bellissimi. Il mio ritorno dopo 29 anni è opera di Pasquale Mammaro, il mio manager tv, il quale mi ha detto un giorno: «Orietta, mando alcuni brani del tuo nuovo disco ad Amadeus, così per sapere cosa ne pensa. Magari piacciono alla commissione». Poi dopo qualche giorno, proprio quando io e Osvaldo avevamo preso il Covid ed eravamo in quarantena, mi chiama Amadeus e mi dice: «Orietta, avremmo deciso con la commissione di Sanremo di averti al Festival con il brano “Quando ti sei innamorato”. Sei contenta? Ci sarai?». Io, lì per lì, ero poco convinta perché stavo ancora superando il Covid. Poi, le rassicurazioni e la fiducia di Amadeus e Pasquale, che mi dissero che per marzo e aprile sarei riuscita a guarire pienamente, mi hanno dato molta forza. E, ovviamente, grazie alla straordinaria collaborazione con il maestro Enzo Campagnoli, che mi ha diretto durante il Festival e che ha creato una perfetta alchimia tra me e i maestri dell’orchestra di Sanremo. Inoltre, con questa pandemia e il difficile momento che stiamo vivendo tutti, ci tenevo a essere presente a questo Festival unico, anche per dare un segnale di positività e solidarietà a tutti gli addetti al lavoro del nostro settore musica e concerti, che in questo anno sono stati colpiti duramente dalla crisi per la pandemia.
Durante il Festival sei stata incoronata “regina” dei social soprattutto dai più giovani, molti dei queli non ti conoscono personalmente. Oltre alla bellissima Quando ti sei innamorato cosa, secondo te, ha fatto emozionare il grande pubblico?
Penso sia stato tutto un insieme di cose. Sicuramente le esibizioni di Sanremo sono andate molto bene, sono state molto emozionanti per me e questa emozione è arrivata al pubblico. Poi la canzone è molto bella, una bella melodia italiana che rimane. Gli abiti, inoltre, sono stati una sorpresa e un successo tanto per me quanto per il pubblico che ha apprezzato tantissimo. Di questo devo ringraziare GCDS, Giuliano Calza (stilista) e il caro Nicolò Cerioni (stylist), che a Sanremo ha vestito me, Achille Lauro e I Måneskin. Infine, le gaffe e la mia spontaneità hanno fatto il resto: a volte non me ne accorgo, ma mi vengono così, naturali e in buona fede. Poi i social sono impazziti e mi ha fatto molto piacere: hanno conosciuto quella mia vena ironica e gioiosa che fa parte del mio carattere e della mia terra emiliana, alla Don Camillo e Peppone.
Una parte importante del pubblico sanremese, che ti ha sostenuto e amato, è composta da persone Lgbt+, dalle quali sei ritenuta una “icona”. Secondo te perché? Ti senti bene in questo ruolo?
Sono onorata di essere considerata un’icona ed è per me una gioia immensa, perché significa essere amata e rispettata. Loro sono da sempre i miei più cari amici. Da quando ho iniziato nel 1965, ho sempre avuto amici e collaboratori gay. Sarò sempre grata a loro e posso dire che mi hanno insegnato tantissimo nella vita come nel lavoro, per la sensibilità, il gusto per il bello, l’eleganza, la creatività, il senso della amicizia e il rispetto per l’arte e per le mille sfaccettature della vita. Ripeto: sono felicissima, onorata e grata per tutto l’affetto, la stima e i consigli che, oggi come ieri, mi danno, senza pregiudizi, perché nella vita (e oggi ancora più di prima) occorre essere positivi, amare e rimanere sempre se stessi.
È appena uscito il tuo cofanetto La mia vita è un film, che ripercorre la tua carriera di 55 anni e contiene anche un cd di inediti. Fra questi il brano Diverso, che racconta di una madre con un figlio che fatica a esternare ed accettare la sua omosessualità. Chi ti ha scritto questo pezzo bellissimo e importante? E perché hai scelto di inciderlo?
Il brano Diverso è stato scritto da tre grandi compositori: i maestri Enzo Campagnoli, Mario Guida e Tano Campagnoli, che hanno una straordinaria sensibilità e capacità di leggere e raccontare le emozioni e il mondo che ci circonda, traducendole nella nostra melodia italiana classica. Con loro ho collaborato al mio nuovo album La mia vita è un film e hanno scritto per me altri brani favolosi. Ho scelto di incidere questo brano perché è bellissimo e perché racconta l’amore di una madre, come potrei essere io o chiunque altra donna, che non accetta i pregiudizi e i tabù della società: dell’amore infatti non bisogna vergognarsi mai. Le parole del ritornello sono proprio queste: Io penso che, le persone siano fatte per amare. Il testo è bellissimo. La società di oggi ha bisogno di amare e di lottare contro l’omofobia, contro la violenza verso le donne, contro la violenza verso i più deboli. Spesso mi chiedono come avrei reagito se avessi avuto un figlio gay e io rispondo: «Avrei reagito come ho sempre fatto, con la naturalezza e la normalità di sempre, perché è così». Ho tantissimi amici fraterni che sono omosessuali e non mi sono mai posta il problema di distinguere le persone dalla loro sessualità. I miei genitori mi hanno sempre insegnato a distinguere le brave persone dai mal intenzionati: è questa l’unica distinzione vera da fare.
A proposito di questa canzone, credo conoscerai le associazioni di genitori con figli Lgbt+ come Agedo e Geco, che, sono certo, saranno contenti per questo tuo supporto. Sappiamo che ancora oggi molti genitori non accettano neppure l’idea possibilità di avere un figlio Lgbt+: cosa diresti loro?
Di non avere mai paura di amare, di amare i propri figli, la propria famiglia e la propria vita, perché l’amore, quello vero, non tradisce mai.
Mentre auspico di avere presto la possibilità di poterci incontrare ai tuoi concerti in Salento e riprendere in presenza, le presentazioni del tuo libro Tra bandiere rosse e acquasantiere, lasci a tutte le lettrici e i lettori di Gaynews un pensiero, una canzone augurale, che spazzi via questo Covid?
«Fin che c’è vita c’è speranza», che tra l’altro è proprio un brano inedito del mio nuovo album. Un abbraccio a te, a tutti. E a prestissimo, caro Giovanni.