«Non sono contento di questa dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della fede. Per questo semplice motivo: il messaggio che ha attraversato i media di tutto il mondo è stato solo un ‘no’. Un ‘no’ alla benedizione; e questo è qualcosa che ferisce intimamente molte persone, come se percepissero e dicessero: Madre, non hai nessuna benedizione per me? Anch’io sono tuo figlio».
A dirlo senza mezzi termini il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e stimato teologo, che, nel corso di un’intervista comparsa il 24 marzo sul settimanale dell’arcidiocesi Der Sonntag, è intervenuto sul responsum al dubium della Cdf in materia di benedizioni a coppie di persone dello stesso sesso.
Secondo il porporato austriaco, studente e pupillo di Joseph Ratzinger, rispetto al quale ha assunto posizioni diametralmente opposte proprio in tema di tutela dei diritti delle persone Lgbt+ (ma non solo), «la preoccupazione legittima della Congregazione per la Dottrina della Fede è che una cerimonia di benedizione non crei l’impressione che si stia stipulando un matrimonio sacramentale. Ma questo sì alla famiglia non deve essere detto come un no a tutte le altre forme. La Chiesa si è da tempo abituata – è stato un processo lungo e doloroso – che non è l’unica voce che ha una parola da dire sulle relazioni. Dal XIX° secolo lo Stato si è ripreso la sovranità della Chiesa sul matrimonio ed è naturale per noi – anche per la Chiesa – che ci si sposa prima civilmente prima di sposarsi in Chiesa. Eppure la concezione civile di matrimonio come contratto è fondamentalmente diversa da quella di matrimonio sacramento. Ci conviviamo da molto tempo».
Per Schönborn, di cui è nota anche l’intransigenza nella lotta alla pedofilia del clero (celebre il suo attacco pubblico al cardinale Angelo Sodano per le posizioni minimizzatrici su tale materia), «la questione se si possono benedire le coppie dello stesso sesso appartiene alla stessa categoria della domanda se ciò sia possibile per le persone risposate o per le unioni senza licenza di matrimonio. E qui la mia risposta è relativamente semplice. Se la richiesta della benedizione non è uno spettacolo, quindi non è solo una sorta di rito esteriore, se la richiesta della benedizione è onesta, è proprio la richiesta della benedizione di Dio per il percorso di vita che due persone, in qualsiasi condizione si trovino, tentano di fare, allora questa benedizione non dovrà essere loro negata. Anche se, come prete o vescovo, devo dire: “Non hai realizzato tutto l’ideale. Ma è importante che voi viviate il vostro cammino sulla base delle virtù umane, senza le quali nessuna relazione può riuscire”. E questo merita una benedizione. Se la giusta forma di espressione per questo è una cerimonia di benedizione della Chiesa, bisogna pensarci attentamente».
Nello svolgere una tale profonda e originale riflessione teologica il porporato è partito «da una semplice osservazione. Molte mamme benedicono i loro figli. Mia madre lo fa ancora fino ad oggi. Non me ne vado senza che lei mi benedica. Una madre non negherà la benedizione, nemmeno se suo figlio o sua figlia hanno problemi di vita. Al contrario».
Il teologo gesuita Paolo Gamberini ha giustamente osservato su Facebook che «Schönborn è l’unico che tra voci autorevoli ha detto qualcosa di nuovo sulla benedizione di coppie omosessuali. Tutti gli altri si sono limitati ai recettori (i soggetti) della benedizione, o a discutere in che modo un sacramentale non sia sacramento. Ripeto: la vera questione è passare da una visione statica e fissista ad una dinamica e gradual. Una teologia del processo (nel senso dinamico) e non più “dei processi” (quelli del Sant’Uffizio ovvero Cdf)».