PREMESSA
Il 5 maggio a Otto e mezzo si è discusso nuovamente del ddl Zan: Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, affermava che se questo disegno di legge passasse non potrebbe più dire di essere contro l’utero in affitto. Antonio Padellaro de Il Fatto Quotidiano rispondeva che non è vero, che è una falsità. E invece sì, rispondeva Alessandro Sallusti, e invece no, ribatteva anche Beppe Severgnini del Corriere della Sera. Ma sì, rispondeva di nuovo Sallusti.
Otto e tre quarti. La desolazione di un dibattito che gira a vuoto, interpretazioni più o meno disinformate, un dibattito vago e impreciso, pronto a sbilanciarsi dal lato di quello che riuscirà a sparare l’argomento più convincente, più provocatorio forse. Pochi minuti prima leggevo l’intervista rilasciata da Cristina Gramolini, presidente di Arcilesbica Nazionale, al Quotidiano Nazionale, in cui afferma sallustianamente: «Se io dico che l’utero in affitto non è un modo legittimo di diventare genitori, con la Zan potrei essere denunciata per omofobia».
Di fronte a queste dichiarazioni, ho pensato: perché non andiamo a vedere un paese europeo in cui questo stesso tipo di legge esiste già per vedere quali sono i reati che vengono considerati dai tribunali come crimini d’odio e di violenza legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere, insomma per vedere come funziona?
IL CONTESTO FRANCESE
In Francia, nel 2004 è stata adottata una legge (1486) firmata dal presidente di destra Jacques Chirac che aveva l’obiettivo di «rinforzare la lotta contro i discorsi discriminatori a carattere sessista e omofobo» e che modificava la legge del 29 luglio 1881 sulla libertà di stampa punendo «l’odio e la violenza nei confronti di una persona o di un gruppo di persone per motivi legati al sesso, all’orientamento sessuale o alla disabilità».
Dal 2012, anche «l’identità sessuale» viene riconosciuta come motivo di discriminazione. Infine una legge del 2018 modifica quest’ultima dicitura in «identità di genere», per coprire tutto lo spettro delle realtà trans e adeguarsi alle convenzioni e al diritto internazionale. Parallelamente, si aggiunge (si aggiunge, non si sostituisce) a questo percorso, una intensa legislazione sulle violenze sessiste. Da ultima la legge del 3 agosto 2018 che introduce il reato di «oltraggio sessista». Il precedente della legge sulle discriminazioni sessiste e omofobe del 2004, dunque, ha aperto la strada a vari interventi legislativi contro il sessismo, non l’ha chiusa o sostituita, come temono alcune voci.
Ho raccolto qui otto casi di condanne per incitamento all’odio e alla violenza omofobica e transfobica, più quattro casi di politici condannati, di cui due poi scagionati dalla Cassazione, perché i giudici hanno ritenuto che si trattava della libera espressione di un’opinione e non di incitamento all’odio e alla violenza. La casistica raccolta mostra chiaramente quale sia il campo di applicazione del ddl Zan e la netta distinzione che esiste tra libertà di espressione e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti delle persone Lgbt.
UNA DISTINZIONE NETTA TRA OPINIONE E ISTIGAZIONE ALL’ODIO E ALLA VIOLENZA
1) Nel 2018, un quarantenne è stato condannato per insulti omofobi per aver diffuso un video su Snapchat ai suoi 70000 abbonati in cui dichiarava: «Voi omosessuali, dovete farvi curare», suggerendo di «prendere un’aspirina da diluire nel cianuro». Condannato a € 2500 di multa e a versare € 1400 a tre associazioni di lotta contro l’omolesbobitransfobia.
2) Nel 2019, tre ragazzi di 18, 19 e 20 anni sono stati condannati a sei mesi di prigione per aggressione a carattere omofobico per aver picchiato una coppia gay, nel centro storico di Orléans, insultandola pesantemente mentre i due ragazzi di 25 e 26 anni si stavano baciando davanti a un bar. I tre dichiarano di aver detto loro semplicemente «buonasera», ma non di aver inveito contro di loro «Sporchi froci, brutta specie di finocchi».
3) Il 23 gennaio 2021, un ragazzo di 29 anni e un altro di 32 sono stati condannati rispettivamente a quattro anni (di cui uno con condizionale) e a sei anni di prigione per aver picchiato, insultato e derubato un ragazzo gay nella città di Rouen nel 2018.
4) Nel 2019, un anonimo è stato condannato dal tribunale di Parigi per aver scritto su Twitter in occasione della cerimonia di premiazione degli Oscar francesi «Checche e lesbicacce sono all’onore alla premiazione dei #@Cesar2014 Lobby Lgbt… Accendete un fuoco… Un bel rogo». La pena non è stata comunicata, ma l’aggravante omofobica è stata riconosciuta dal Tribunale.
5) Nel 2014, a Montpellier, un ragazzo è stato condannato a due anni di prigione (con condizionale) e a pagare € 3000 di danni e € 800 di spese al Collettivo contro l’omofobia della città e € 1 simbolico e € 800 di spese all’associazione Lesbian & Gay Pride di Montpellier per aver fatto irruzione durante il primo matrimonio gay celebrato in Francia, con altri tre ragazzi raccattati sui social, muniti di petardi e slogan, proferendo insulti omofobi durante la celebrazione.
6) Nel 2019, il vicino di casa di Alexandre, uomo trans, è stato condannato a € 800 di multa per gli insulti proferiti ripetutamente e per la persecuzione quotidiana nei confronti di Alexandre: «Troia, puttana, sei marcata sulla faccia, sei una donna, il tuo passato ti perseguirà per sempre». Il vicino invita Alexandre a suicidarsi e rivela alla sua famiglia la sua identità trans (aveva fatto la transizione più di trent’anni fa). All’associazione SOS Homophobie, costituitasi parte civile dopo essere stata sollecitata da Alexandre, è stata riconosciuta una somma di € 200 di danni e spese per il danno subito dalla comunità LGBT che questa rappresentava in Tribunale.
7) Sempre nel 2019, l’aggressore di Julia Boyer, una donna trans, è condannato per violenze transfobiche a dieci mesi di prigione (di cui 4 con condizionale) per averla accerchiata durante una manifestazione, insultata, cosparsa di birra, per averle palpeggiato il seno e la testa e poi violentemente picchiata. Le telecamere di videosorveglianza avevano ripreso tutto. Il presidente del Tribunale durante il processo ha dichiarato: «Signora, rendo onore al suo coraggio».
8) Un noto imprenditore parigino è condannato nel 2020 per aver proferito nei confronti di un consigliere del Comune di Parigi apertamente gay insulti a carattere omofobico, avendo insinuato che quest’ultimo se la faceva con l’ex sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë, e che probabilmente è dopo aver fatto «i loro giochetti», che il consigliere avrebbe ricevuto il suo incarico, per aggiungere poi che «non ha nulla contro gli omosessuali, di solito, io li chiamo froci […], non ho niente contro di loro, salvo quando sono perversi». È stato condannato a tre mesi di prigione (con la condizionale), a pagare una multa di € 3000 e a pagare danni e rimborsi al consigliere comunale e alle tre associazioni di lotta contro l’omofobia costituitesi parti civili.
Passiamo alle personalità politiche.
1) Un’eletta del partito di Macron (poi espulsa) è stata condannata nel 2020 a pagare € 4000 di multa (di cui 2000 con condizionale) e al pagamento dei danni a 5 associazioni di lotta contro l’omofobia costituitesi parti civili, per due tweet in cui scriveva che gli «attivisti Lgbt sono una «lobby infame e perversa», e in cui comparava la bandiera rainbow «alla stella gialla imposta da Heydrich agli ebrei nel 1941». Da notare che è invece stata assolta dall’«accusa di incitazione all’odio e alla violenza per un tweet precedente in cui definiva «la lobby Lgbt» come una «setta» che fa uso «della menzogna e della propaganda per raggiungere i suoi scopi».
2) Nel 2019, Jean-Marie Le Pen, il fondatore del partito di estrema destra Front National è condannato in appello a pagare € 2400 di multa per aver comparato pubblicamente pedofilia e omosessualità, e per aver criticato la partecipazione del marito del poliziotto ucciso durante un attacco terroristico, alla cerimonia di omaggio, «un’esaltazione pubblica del matrimonio omosessuale», una «particolarità» che «deve essere tenuta lontana da questo genere di cerimonie». Il condannato dovrà anche versare € 4000 di multa all’associazione Mousse che lotta contro l’omolesbobitransfobia. Jean-Marie Le Pen non è però stato condannato per aver dichiarato: «Gli omosessuali sono come il sale nella zuppa, se non ce n’è abbastanza è insipida, se ce n’è troppo è imbevibile», perché non considerato un incitamento all’odio e alla violenza.
3) Il 25 gennaio 2007 il deputato di destra Christian Vanneste era stato condannato per aver dichiarato che «l’omosessualità è inferiore all’eterosessualità» e che «l’omosessualità è una minaccia per la sopravvivenza della società». Nel 2008, la Corte di Cassazione annulla la condanna perché «sebbene le dichiarazioni in questione […] possono aver urtato la sensibilità delle persone omosessuali, il loro contenuto non oltrepassa il limite della libertà di espressione».
4) Nel 2015, la deputata cattolica, Christine Boutin, capofila della contestazione contro il Pacs nel 1999, è condannata a pagare € 5000 di multa per «istigazione all’odio e alla violenza» per aver «citato la Bibbia», come dichiara lei stessa, ovvero per aver dichiarato che «l’omosessualità è un abominio. Ma non la persona. Il peccato non è mai accettabile, ma il peccatore è sempre perdonato». La Cassazione ha considerato nel 2018 che «sebbene fosse oltraggiosa, questa dichiarazione, non contiene, nemmeno in forma implicita, un appello o un’esortazione all’odio e alla violenza nei confronti delle persone omosessuali».
I CASI DI OMOLESBOBITRANSFOBIA
Per chiudere, e per rispondere alle farneticazioni di chi sostiene che non esistano casi rilevanti di omofobia e di transfobia in Italia, sempre restando in Francia, un paese ad alta protezione dei diritti delle persone Lgbt rispetto all’Italia, è interessante osservare un dato.
Da qualche anno il Ministero dell’Interno francese raccoglie le statistiche sulle vittime di infrazioni a carattere omofobico e transfobico registrate dalla polizia. Nel 2019 sono stati registrati 1870 casi, a fronte di 1380 casi nel 2018 e di 1040 nel 2017. Un aumento costante. Il 33 % dei casi registrati nel 2019 riguarda insulti e oltraggio, mentre il 28% riguarda violenze fisiche e sessuali.
Questo lascia pensare che la situazione potrebbe essere simile, se non peggiore in Italia, tenuto conto del fatto che nel nostro paese questi dati non vengono raccolti correttamente e sistematicamente anche perché, appunto, non sono riferiti a reati previsti dalla legge. Di questo si parla (o si dovrebbe parlare) quando si parla di ddl Zan.