Considerato fino al 2008 uno dei paesi africani più tolleranti in materia di omosessualità, il Senegal, il 90% della cui popolazione è musulmana, continua ad arretrare nella tutela dei diritti delle persone Lgbt+ tanto più che il presidente Macky Sall, in carica dal 2012, ha più volte riaffermato la volontà di non depenalizzare i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso.
Un preoccupante segnale della situazione sempre più incandescente può ravvisarsi nella manifestazione che ha avuto luogo ieri a Dakar, dove centinaia di manifestanti, raccogliendo l’appello del collettivo islamico And Samm Jikkoyi, hanno sfilato per chiedere che i rapporti tra persone dello stesso sesso siano puniti con pene maggiorate fino a dieci anni di carcere. Non sono mancati slogan del tipo «Li uccideremo» o «Li bruceremo vivi» in una con riferimenti apocalittici a un «Dio pronto a maledire il Senegal». Bruciate infine varie bandiere arcobaleno.
Aujourd’hui encore nous étions sur le terrain avec nos chers compatriotes de bien vouloir compatible avec leur douleur étant donné que nous sommes unis pour la bonne cause, LGBT ❌❌on le dit non, nous exigeons une loi qui criminalise l’homosexualité.@SAVE_DAKAR @PapeSidy rt… pic.twitter.com/iNi8akzO6Y
— AFRICA FIRST (@africafirst21) May 23, 2021
Il comma 3 dell’articolo 319 del Codice penale già prevede per «l’atto impudico o contro natura con una persona dello stesso sesso» l’imprigionamento da uno fino a cinque anni e un’ammenda da 100.000 a un milione e mezzo di franchi. La normativa vigente riprende in realtà un’ordinanza d’epoca coloniale francese, firmata dal maresciallo Pétain nel giugno 1942 e ispirata al famigerato paragrafo 175 del Codice penale tedesco del 1871.
Dei 49 Paesi dell’Africa sub-sahariana il Senegal è uno dei 27 in cui i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso sono puniti col carcere fino all’ergastolo e, in alcuni casi (Mauritania, Somalia e 12 Stati della Nigeria), con la morte.