La legge 135/1990 recante Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’Aids compirà 31 anni nel prossimo giugno. Parte degli obiettivi della normativa sono stati raggiunti. La diffusione dell’infezione tuttavia persiste e sono sorte nuove problematiche soprattutto di tipo sociale che la 135 non ha gli strumenti per risolvere. Per questo già nel 2017 un’intesa Stato-Regione ha previsto la sua ormai necessaria revisione.
Nonostante tutto ad oggi non è stato possibile portare a compimento l’opera. Solo una proposta di legge (1972) è stata presentata nel luglio 2019, a firma dei deputati Mauro D’Attis (Fi), Fabiola Bologna (Protagonista Italia), Rossana Boldi (Lega), Roberto Giachetti (Iv) e Riccardo Magi (Radicali italiani). Tuttavia già il titolo della pdl Interventi per la prevenzione e la lotta contro l’Aids e le epidemie infettive aventi carattere di emergenza ha suscitato non poche perplessità nella comunità scientifica e nella società civile. Il contenuto, soprattutto, non appare all’altezza di sostituire la legge cardine della lotta trentennale alla diffusione del virus dell’Hiv, anzi, presenta novità di cui non si comprende la necessità e lo scopo, come il passaggio del coordinamento delle iniziative e dei finanziamenti alla presidenza del Consiglio, togliendo al ministero della Salute, che è strutturato all’uopo, la sua autonomia operativa.
Esattamente un anno fa, nel ricordare il 30° anniversario della 135, il ministero della Salute scriveva: «Nella discussione dovranno essere coinvolti tutti gli attori che operano nel campo dell’Hiv, le istituzioni, le due Sezioni per la lotta contro l’Aids del Comitato tecnico sanitario (Sezione per la lotta contro l’Aids e Sezione del volontariato per la lotta contro l’Aids), i clinici e i ricercatori del settore, le associazioni dei pazienti e di volontariato per la lotta all’Aids, le società scientifiche».
Nonostante un’intensa attività epistolare e un’audizione con gli estensori della legge in cui sono state esplicitate le criticità che rendono irricevibile il testo, questo, ad oggi, anche se l’esame in Commissione Affari sociali è iniziato il 12 maggio, non ha subito alcuna modifica, come se il nuovo impianto legislativo potesse prescindere dall’acquisizione delle criticità emerse in trent’anni di sviluppo clinico e sociale, dalle determinazioni che sono state prese nel tempo e da quelle che debbono essere prese per adeguare la lotta al virus alla realtà e alle esigenze che cambiano.
Per esempio, l’auspicato coordinamento dei diversi ministeri che a vario titolo sono investiti di responsabilità dovrebbe avere un carattere operativo e prevedere una responsabilità della presidenza del Consiglio affinché i vari ministeri collaborino sinergicamente e non genericamente occuparsi di prevedere iniziative e finanziamenti, cosa per cui sono strutturati i singoli ministeri. Ancora, in nessuna piega del testo appare un impegno affinché il rapporto tra ministero della Salute e quello dell’Istruzione produca prevenzione sviluppando programmi di educazione sessuale nelle scuole, di educazione alla lotta allo stigma anche verso le persone positive all’Hiv, ma anche di studiare una via per proporre i test Hiv ai minori che ne sentano la necessità e mille altre attività che hanno mostrato di essere fondamentali nella lotta al virus e che non erano certo previste trentun anni fa. Dopo più di trent’anni di serio e strutturato volontariato sarebbe anche auspicabile che lo Stato riconoscesse il lavoro delle associazioni con un impegno alla sussidiarietà anche nel campo della lotta all’Hiv.
Insomma, questa proposta di legge è lontana anni luce dalla realtà e dalle esigenze operative di chi è in prima linea, pertanto le strade sembrano essere solo due: la prima, più sicura, è che il Parlamento si faccia carico di presentare una nuova e più coerente pdl che possa essere in brevissimo tempo affiancata alla Proposta già presentata, l’alternativa, non priva di insidie, è il lavoro di emendamenti alla pdl D’Attis in Commissione Affari sociali. L’unica certezza è lo scorrere del tempo che non favorisce chi vuole che le cose siano fatte con criterio.