Una riunione di maggioranza a dir poco tesa quella che ha avuto luogo ieri sul ddl Zan in Commissione Giustizia del Senato. Oltre al leghista Andrea Ostellari, relatore della legge, erano presenti per il Carroccio il capogruppo Massimiliano Romeo, per Forza Italia la capogruppo Anna Maria Bernini e Lucio Malan, per il Pd la capogruppo Simona Malpezzi e in collegamento Franco Mirabelli, per M5s Andrea Cioffi e Alessandra Maiorino, per Iv Davide Faraone e in collegamento Giuseppe Cucca, per LeU Loredana De Petris.
Al termine dell’incontro si è ottenuta la conferma del ddl Zan come testo base contro la richiesta di Forza Italia e Lega di unificarlo al testo Ronzulli. Accesissimi i toni della Lega con la richiesta di Ostellari di proseguire i lavori in Commissione e quella di Romeo di modifiche sostanziali al testo soprattutto in riferimento agli articoli 1, 4 e 7 sui temi identità di genere, libertà di pensiero e condotte discriminatorie, scuola. Richiesta, cui si sono opposti LeU, M5s e Pd fermi sulla diretta calendarizzazione in Aula, che sarà oggetto di votazione martedì 6 luglio. Ha cercato una mediazione tra le parti Davide Faraone, che, in ogni caso, ha dichiarato: «Se non dovesse trovarsi un’intesa, Iv voterà per portare in Aula la legge». Intesa utopica, come già rilevava qualche settimana fa con consueta lucidità il deputato di Italia Viva e sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto, per il quale la destra vuole solo affossare la legge.
In ogni caso entro domani si potranno presentare proposte di modifica al testo e il presidente Ostellari, tenterà di farne una sintesi. Il tavolo di maggioranza si aggiornerà martedì alle 11, prima della convocazione dell’Aula del Senato che voterà sulla calendarizzazione del ddl.
In attesa degli ulteriori passaggi non si possono non rilevare alcune incongruità riguardanti tanto Italia Viva quanto, soprattutto, Forza Italia. Nel primo caso non si riescono a capire le perduranti perplessità di Davide Faraone, dal momento che l’articolo 1 (oggetto di particolari critiche da parte di Romeo) è stato inserito in sede di discussione alla Camera con emendamento a prima firma Lucia Annibali e che la definizione di identità di genere, al pari delle altre, è stata all’epoca formulata d’intesa con la ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti.
Circa invece la difesa del ddl Ronzulli da parte di azzurri (e leghisti), oltre alla considerazione di fondo che tale testo mina il portato della legge Mancino, va rilevato che tra «le circostanze aggravanti nei casi di violenza» ex art. 61 (comma 1, di cui è proposta la modifica) si citano l’orientamento sessuale e il sesso (insieme a origine etnica, credo religioso, nazionalità, età e disabilità) ma non si menzionano ovviamente l’identità di genere e la fattispecie dell’istigazione alla discriminazione. Che poi tanto ovvio non è, dal momento che la fedelissima berlusconiana (e sua infermiera) Licia Ronzulli, quando era eurodeputata, fu tra i 394 che, il 4 febbraio 2014, votarono a favore – a differenza di Matteo Salvini, oggi cofirmatario del controverso ddl – della Risoluzione del Parlamento europeo sulla tabella di marcia dell’Ue contro l’omofobia e la discriminazione legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere, più conosciuta come Rapporto Lunacek.
Se a Faraone e ai dubbiosi del Pd andrebbe ricordato che all’epoca nessuno a sinistra sollevò questioni sull’identità di genere – la quale compare nel titolo della Risoluzione e altre 17 volte nel testo –, la senatrice Ronzulli dovrebbe forse anche spiegare altro. Spiegare, cioè, come osserva a Gaynews Stefano Ponti, giurista e socio di Rete Lenford, «per quale motivo, sette anni fa, abbia votato a favore di una Risoluzione che invita a punire non solo la violenza ma anche l’istigazione all’odio (fattispecie più ampia tra l’altro rispetto all’istigazione alla discriminazione del ddl Zan) e ora abbia invece presentato un ddl che elimina la fattispecie di istigazione per estendere solo l’aggravante. Che significa, cioè, punire gli hate crimes ma non l’hate speech».
Ma, si sa, la coerenza è virtù ben rara in politica come in altri ambiti. Sempre che la senatrice Ronzulli non motivi di aver votato a sua insaputa.