Il titolo del libro di Elisa Manici è di chiaro impatto: Grass*. Strategie e pensieri per corpi liberi dalla grassofobia (Eris Edizioni, Torino 2021, pp. 64). L’asterisco, intanto, il vero e proprio incubo grafico di chi pensa, come anche recentemente Maurizio Maggiani su La Repubblica (Non sono un asterisco, 6 luglio 2021), che l’uso dell’asterisco sia un indelebile vulnus alla creatività umana, mentre l’abuso dei plurali collettivi declinati solo al maschile una ingenua convenzione.
Ma prima ancora Grass* è il grasso, l’emersione plurale del corpo non normato, non etericizzato ed eterosessualizzato, reso magro, fashion, spendibile, nella corrente degli influencer metrosexual e delle influencer che, come frecce puntute e prive di individualità autentica, tendono ai loro obiettivi capitalizzanti, non curandosi di diffondere immagini che provocheranno sia desiderio di emulazione che stigma per i non adattati e le non adattate, per chi semplicemente non ci sta.
Il rifiuto guida il libro di Elisa Manici e viene da pensare all’Adorno dei Minima Moralia, che vide per primo il rapporto di alienazione totale dei corpi con una società che si avviava a divenire postmoderna. Non è più possibile sentire i corpi, bisogna solo normalizzarli. Come nel Panopticon per Foucault, i corpi, grassi ma non solo, sono sia oggetto di sguardo e di stigma, sia oggetti del proprio sguardo irretito dalla normatività, fino a conseguenze disastrose. Il diktat è di non essere immondi, è di stare nel mondo. Ma quale mondo, quello che nega l’esistenza dei corpi non adattati? Cambiare la propria vita facendo una dieta, spesso indotta dal sistema biopolitico, o scegliere altre vie? Elisa Manici indica altre vie, dalla prospettiva femminista di Susan Bordo al fat queer activism (il corpo queer è sempre un corpo non normato, quindi anche un corpo “grasso”). Susan Bordo è un momento importante di questo libro, sul piano della teoria femminista. Autrice relativamente poco studiata da noi, e sarebbe interessante sapere come il flusso delle fruizioni accademiche e di movimento non si sia focalizzato su di lei, Bordo porta davvero i corpi femminili sul bordo delle proprie immagini normate e mitologie introiettate, nel suo testo capitale, tradotto anche in italiano con il titolo de Il peso del corpo (Feltrinelli, 1997).
La base è quella di un femminismo materialista, che sappia vedere le incarnazioni reali su cui il foucaultiano biopotere getta le sue liane avviluppanti, bloccando potenziali liberatori, creando disastri interni ed esterni. Si tratta di una dimensione diversa da quella di Judith Butler, per la quale il corpo è un testo, un linguaggio citabile e potenzialmente indefinito. Cambia quindi anche la dimensione del queer, che si incontra con una realtà meno idealizzata della performatività, nel fat queer activism seguito da Elisa Manici nelle sue diverse declinazioni. Il fat queer activism non considera solo la decostruzione dei sessi e dei generi, si incontra con i corpi, i corpi grassi reali, e ne fa un momento importante per la rifondazione di soggetti e comunità. Particolarmente legata al femminismo materialista di Bordo è la considerazione della centralità del corpo femminile grasso come tabù sociale su cui ruotano anche altri tipi di stigma, sociali e “razziali”. Elisa Manici coniuga con precisione e densità di riferimenti l’ambito femminista e quello queer, senza cedere a una “positività” che spesso può diventare retorica.
Non basta l’attivismo, non basta percepirsi come soggetti in lotta contro biopolitica e biopotere (che per Foucault è potere di controllare vita e morte, è bene ricordare), non basta avere compagni e compagne di lotte non sempre perdenti. Si può anche, in qualche giorno brumoso, pensare che la prospettiva queer sia la temporalità del no future teorizzata da Lee Edelman (2004). E tuttavia si resta, si scrive, si è soggetti in comunità sempre nuove e arricchenti, e il corpo si muove, brilla e balla di nuovo ogni giorno al grido irrimandabile di: I am what I am.