Film documentario che emoziona e inquieta, Pray Away, che, diretto da Kristine Stolakis, è uscito in giugno sulla piattaforma Netflix. Esso racconta la violenza, purtroppo ancora radicata, delle cosiddette terapie riparative e dei gruppi che si propongono di “guarire” le persone Lgbt+, considerate sbagliate o malate, in nome di principi religiosi.
Parte consistente della pellicola investiga la nascita, l’ascesi e il declino di Exodus, la più celebre tre le associazioni che hanno portato avanti programmi di “riconversione”, intercettando le paure e i disagi di migliaia di ragazze e ragazzi Lgbt+, e spesso delle loro famiglie, a partire dagli anni ‘70 e fino alla chiusura ufficiale nel 2013.
Certamente, come si evince chiaramente dal docufilm, la pandemia di Aids, che in pochi anni – tra gli ‘80 e i ‘90 – ha falcidiato tantissime vite nella comunità Lgbt+, alimentò il bacino d’utenza e di speculazione delle associazioni che promuovono le terapie di conversione, soprattutto negli States.
Tra i documenti proposti dalla pellicola impressionano particolarmente quelli relativi a John Paulk, leader di Exodus, che, dopo aver predicato per anni, in eventi di enorme risonanza mediatica, la felicità della propria conversione eterosessuale, con tanto di matrimonio con una donna ex lesbica, anch’essa convertita, ammette di aver mentito a sé stesso e al mondo, riconoscendo la propria, ormai dichiarata e accettata, omosessualità.
Il documentario ci mostra anche che, benché Exodus e altri gruppi simili abbiano ormai cessato la propria attività, il pericolo che persone Lgbt+ – probabilmente a disagio con la propria condizione – siano attratte dal miraggio del cambiamento non è affatto cancellato. The Changed Movement, ad esempio, è un gruppo ultracristiano di persone Lgbt+, che organizza annualmente la Freedom March e vede tra i suoi principali leader l’ex attivista transgender Jeffrey McCall.
L’organizzazione predica, con incontri e liturgie di gruppo, l’emancipazione delle persone Lgbt+ dal proprio differente orientamento sessuale e dalla propria differente identità di genere, attraverso la preghiera che riconcilia con Gesù. E così, mentre le associazioni Lgbt+, anche in Italia, chiedono giustamente a gran voce che vengano ascoltate le esigenze delle persone trans, fa rabbrividire il cinismo con cui, in nome di Dio, McCall, ripreso durante il colloquio col genitore di una persona transgender, inviti quest’ultimo a non aiutare o sostenere il proprio figlio nel percorso di transizione, condannandolo sostanzialmente all’infelicità personale. Infelice sì ma tra le braccia di Dio.