Domani apre a Torino, presso il Museo Diffuso della Resistenza – Polo del ‘900, la mostra dedicata ai 50 anni del FUORI!. Un’esposizione antologica che mette in luce documenti storici inediti come l’indagine dell’Istituto Demoskopea (1982/83), condotta dal sociologo Giampaolo Fabris, sulla percezione e l’auto-percezione dell’omosessualità in Italia. La stessa indagine è riproposta ai visitatori della mostra sotto forma di questionario.
Un ricco programma di eventi collaterali fa da cornice all’esposizione fra cui anche la lectio magistralis del direttore de La Repubblica, Maurizio Molinari. La mostra sarà visitabile gratuitamente dal 23 settembre al 24 ottobre. Gaynews anticipa in esclusiva uno stralcio dell’intervista di Maurizio Gelatti, vicepresidente della Fondazione Sandro Penna – FUORI!, ad Angelo Pezzana, che comparirà nel catalogo della mostra in uscita nei prossimi giorni.
Il FUORI! compie 50 anni: che cos’è e quando e perché è nato?
Quest’anno si celebra il cinquantenario della nascita del movimento omosessuale FUORI!!, che avvenne nella primavera del 1971. Non a caso, nel preparare questa mostra, abbiamo dato una attenzione particolare al clima politico e a quello che stava avvenendo dal ’68 in poi.
Il quotidiano La Stampa di Torino aveva pubblicato la recensione di un libro scritto da uno psichiatra che aveva registrato illegalmente le sedute di un paziente portatogli dai genitori affinché lo guarisse dall’omosessualità, dal titolo L’infelice che ama la propria immagine edito da Feltrinelli. Letta quella faziosa recensione, ho parlato con amici gay e non, con persone che si occupano di editoria, e ottenni un buon numero di firme per una lettera in cui si chiedeva al giornale di aprire un dibattito sull’articolo. Dopo pochi giorni rispose il segretario di direzione che ci comunicava in una lettera molto striminzita: “di questo argomento si parla già fin troppo, non intendiamo riprenderlo”. Fu la classica goccia che fa traboccare il vaso e la reazione fu immediata. Ci trovammo a casa mia la sera stessa, in una dozzina circa, tra i più attenti a questo argomento, e decidemmo di non rispondere con una lettera ma con un’iniziativa di respiro molto più vasto. Tutti i miei amici erano comunque già informati di quello che avveniva in Francia, in Inghilterra, in America, perché nella mia libreria torinese avevo un reparto dedicato alla stampa alternativa, tra cui le testate delle riviste culturali sull’omosessualità che uscivano in questi Paesi. Allora non ci fu bisogno di dare suggerimenti, fummo subito tutti d’accordo che bisognasse creare un movimento anche in Italia. Abbiamo scelto il nome FUORI! pensando alla lingua inglese, dove out vuol dire appunto FUORI!. Coming out è prendere coscienza e dichiararsi omosessuale, e quindi abbiamo detto: “chiamiamolo FUORI!! che è la traduzione italiana di out. Però rendiamolo un acronimo: F può essere fronte, U unitario, O omosessuale e I italiano”. Sulla R non ci veniva in mente un termine adatto e, dopo un giro di opinioni, qualcuno disse: “potremmo dire rivoluzionario”. Non era più la rivoluzione come quelle tradizionali, contro le dittature, volevamo un cambiamento sociale e quindi politico. Tutto sommato era comunque una rivoluzione, perché la società era molto statica in quegli anni. E così nacque la sigla del Movimento.
Qual era la condizione delle persone omosessuali prima della nascita del FUORI!, soprattutto in Italia?
Vivendo a Torino avevo una conoscenza diretta della città, ma girando un po’ l’Italia mi rendevo conto che l’invisibilità era la caratteristica comune. Noi avevamo una specie di dizionario, uno slang nostro, per cui non pronunciavamo mai a voce alta ad esempio la parola omosessualità, oppure omosessuale. Si diceva: “guarda quello lì, sarà così?”.
Ecco, la parola così ci permetteva di introdurre l’argomento omosessualità. Un’altra parola che veniva molto usata quando uno non voleva parlare apertamente della propria condizione (la maggior parte non lo faceva, anche tra noi) era velato: il velo era ciò che avrebbe dovuto proteggerci da un’eventuale situazione pericolosa o scandalosa. Ci siamo resi conto che tutto ciò andava cambiato e l’unica idea che ci venne in mente fu quella di avere un giornale per cominciare a discutere e a dibattere tra di noi la vita che vivevamo e non aspettare le opinioni di psichiatri o altri. Però per fondare un giornale bisognava disporre di un capitale non da poco, quindi abbiamo dovuto scartare l’idea. Però pensammo di ideare un numero zero di un futuro giornale, che si sarebbe chiamato “FUORI!” con una cadenza mensile e sarebbe stato distribuito nelle edicole. Questo numero zero nacque nel dicembre del 1971. Ne stampammo mille copie e immaginammo una distribuzione a mano. Tutti avevamo degli amici, chi a Pordenone, chi a Palermo, chi a Firenze, in tutta Italia: abbiamo mandato a questi amici delle copie da distribuire nei luoghi in cui gli omosessuali potevano essere loro stessi: nei posti più nascosti, più bui (gabinetti pubblici, parchi, strade poco illuminate, cinemini di terza categoria). La cosa è andata bene anche se va detto che era un sistema molto originale e nuovo. Andare con un plico di copie di un giornale in un luogo dove gli omosessuali si ritrovavano per incontrare qualcuno con cui passare una serata era tutto sommato un disturbo, però il risultato finale fu che il numero molto rilevante di futuri partecipanti al movimento prese il giornale, lo lesse, si mise in contatto con noi e nel giro di due mesi avevamo 40 città in cui c’erano omosessuali che avrebbero cominciato a lavorare per creare il movimento FUORI!. Questa è stata una prima azione che ci ha fatto capire quanto la visibilità fosse indispensabile per poter agire pubblicamente.
Avete avuto rapporti con la politica? E come reagì rispetto alla manifestazione di Sanremo e alla diffusione della rivista?
L’omosessualità usciva sui giornali solo se l’argomento era legato a un crimine. I partiti ci hanno ignorato, tranne uno: il Partito Radicale. Nel 1972 organizzò il congresso annuale a Torino e Marco Pannella entrò nella mia libreria. Mi disse, sorridendo: “Ecco qui quello che ha inventato il movimento omosessuale!”. Mi invitò al congresso per raccontare quello che stavo facendo e io accettai. Andai con tanti amici. All’inizio eravamo stupiti perché, quando abbiamo iniziato a raccontare della condizione degli omosessuali italiani, ci dissero che ne parlavano sempre, perché c’erano tanti omosessuali anche nel Partito Radicale. Mi sono sentito praticamente a casa, e ho capito che quello era l’unico partito ad aver compreso l’importanza dei diritti civili e umani (argomento che ancora oggi è difficile da affrontare in molti Paesi, Italia compresa). Abbiamo cercato una sede per il Partito Radicale a Torino e abbiamo partecipato insieme ad azioni per i diritti umani e civili (ad esempio in occasione del referendum sul divorzio e sull’interruzione di gravidanza). Dopo due anni di esperienze comuni, nel 1974, al nostro congresso nazionale a Roma abbiamo chiesto la federazione con il Partito. L’unica polemica che emerse, e che accettammo, era il fatto che noi avessimo dato al termine rivoluzionario un significato più storico che non contemporaneo e che ci legassimo a un partito definito riformista (parola, in quegli anni, pericolosissima e che la Sinistra associava al fascismo). Noi però eravamo convinti che unirci a quel partito avrebbe portato a un avanzamento delle nostre idee. E così avvenne. Fino a quando, nel 1976, il Partito partecipò per la prima volta alle elezioni politiche con una donna come capolista e un omosessuale dichiarato (cosa ancora molto difficile) al secondo posto, in tutta Italia. Io uscii come secondo a Genova e dal 1976 al 1979 andai a Roma come membro del gruppo parlamentare Radicale. Si lavorava tantissimo, ma mi mancava la mia vita con i libri. Diedi le mie dimissioni e promisi a Marco Pannella che sarei stato disponibile per le elezioni regionali e comunali a Torino. E così è stato.
Al di là del cinquantennale che ricorre quest’anno, perché una mostra, un libro e un film oggi?
Ho sempre creduto nell’importanza della Storia nelle nostre vite e ho sempre e cercato di capire come salvaguardare e conservare di fatto le tracce documentarie delle nostre vite di militanti. Nel 1980 ho creato una fondazione, che ho chiamato Sandro Penna, che costituisce l’archivio di tutto quello che abbiamo fatto finora e che faremo in futuro. Abbiamo raccolto molti lasciti anche di periodi precedenti al nostro (per esempio riguardanti l’omosessualità sotto il Fascismo). Oggi l’archivio della fondazione – che ha arricchito il proprio nome in Sandro Penna – FUORI! – è reso disponibile grazie al Polo del ’900 e al Museo Diffuso della Resistenza. La mostra sarà inaugurata il 22 settembre 2021 e sarà visitabile siano al 22 ottobre e l’archivio del FUORI! sarà consultabile in modo permanente sul portale 9CentRo del Polo del ’900.