Comparso sul numero odierno de La Repubblica e dedicato al tema delle unioni civili secondo valutazioni in termini di frenate e flop geolocalizzati, l’articolo di Liana Milella ha suscitato una corale indignazione sui social a partire dalla senatrice Monica Cirinnà e dal segretario del Pd Matteo Renzi. La protesta online ha indotto il quotidiano di Scalfari a correre ai ripari ma con risultati tali da far divampare maggiormente la polemica anziché spegnerla. Perché si è continuato a insistere sul dato numerico offerto senza prendere le distanze dall’approccio analitico al tema.
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Sulla questione è intervenuto anche il direttore del nostro giornale Franco Grillini con un comunicato redatto in qualità di presidente di Gaynet:
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La guerra sui numeri delle unioni civili si combatte in Italia da una vita. Prima la polemica sul numero di persone iscritte ai registri delle unioni civili comunali (che avevano una valenza prettamente simbolica come abbiamo detto fin dall’inizio), adesso la polemica sulle unioni civili della legge Cirinnà, la numero 76/2016 e successivi decreti attuativi. La nostra opinione è che 2800 celebrazioni (assolutamente sottostimate, poi diremo la ragione) rappresentano un dato straordinario perché da un lato è un numero superiore a quello da noi preventivato (2000 dall’entrata in vigore della legge in un anno, vedi rassegna stampa), dall’altro c’è stata una distribuzione nelle città grandi com’era evidente, ma soprattutto in piccoli e piccolissimi paesini. Quando si fa un calcolo sui numeri bisognerebbe anche calcolare qual è stato l’effetto di queste celebrazioni sull’opinione pubblica a livello locale perché quasi sempre alla cerimonia partecipava l’intero paese, e si tratta di piccoli e a volte anche piccolissimi centri.
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L’espressione di tutte queste unioni civili sulla stampa locale (anche qui si veda la rassegna stampa) ogni volta che veniva celebrata l’unione civile mostrava non solo il coinvolgimento dell’opinione pubblica, ma tutti (e quando diciamo tutti significa proprio tutti) hanno usato e usano un linguaggio matrimonialista: dal vigile che dava indicazioni al funzionario comunale che preparava la burocrazia, ai vigili che facevano indossare la fascia tricolore su delega del sindaco. Dal punto di vista giornalistico (e lo diciamo come Gaynet associazione per l’informazione Lgbt) è invalsa la brutta abitudine di non staccarsi più dalla tastiera, di limitarsi a fare un paio di telefonate prendendo per oro colato quanto dichiarato. Si calcolano solo i numeri bruti e non, come sarebbe corretto fare, l’impatto politico-culturale del fenomeno. Di questo non si trova traccia negli articoli di un importante giornale di oggi, solitamente decisamente più friendly, che dedica alle unioni civili un pessimo titolo di prima pagina e addirittura l’intera seconda e terza pagina.
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Ma se è impossibile ragionare d’altro ragioniamo pure sui numeri: molte unioni civili si sono svolte in un clima di assoluta riservatezza, niente giornali, niente amici, addirittura niente parenti. Quante di queste unioni “riservate” sono finite nel conteggio finale delle unioni civili? A nostro parere ne sono rimaste fuori parecchie. Si pensi inoltre alle centinaia di matrimoni celebrati all’estero (perché in Italia non c’era una legge che riconoscesse i diritti delle coppie omosessuali, e che la legge 76/2017 consente finalmente di trascrivere come unione civile), di queste centinaia di trascrizioni non v’è traccia nel numero citato. Eppure sono unioni civili a tutti gli effetti. Riassumendo: 2800 non è il numero reale delle unioni civili effettivamente celebrate in Italia, e tuttavia è un numero che sarebbe in linea col resto d’Europa. Non si può accusare di elitarismo la collettività Lgbt perché basti vedere le oltre 20 manifestazioni dei pride ogni anno per scoprire che si tratta di un fenomeno di massa.
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Chi è che allora ha utilizzato le unioni civili? Ci sono state diverse coppie di giovani che si sono unite civilmente, ma la maggior parte sono di persone sopra i 35-40 anni per ovvie ragioni, e cioè garantire la reversibilità, l’assistenza sanitaria e il diritto di visita del partner in ospedale, solo per citare alcuni diritti umani decisivi. Come associazione per l’informazione Lgbt chiediamo a questa importante testata di poter esprimere la nostra valutazione non tanto di censura (che non ci interessa per nulla e non è nel nostro costume) quanto della rappresentazione di un’idea più realistica e veritiera di un fenomeno che culturalmente e legislativamente ha rappresentato una vera e propria rivoluzione culturale in Italia.
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Franco Grillini
Presidente di Gaynet, associazione d’informazione Lgbt
Direttore di Gaynews.it, quotidiano d’informazione Lgbt