È stato recentemente pubblicato il primo volume della trilogia de L’illusione gentile di esistere di Gianluca Polastri (classe 1972), scrittore, poeta e pittore da sempre impegnato in diverse sperimentazioni artistico-letterarie e in azioni di contrasto all’omotransfobia.
Già collaboratore della Fondazione Sandro Penna e curatore dell’antologia Cuori smascherati: pioneristica raccolta antologica di poesia gay, data alle stampe in occasione dei 100 anni dalla nascita di Sandro Penna, Polastri ne L’illusione gentile di esistere intende raccogliere, in tre volumi, le poesie scritte in trent’anni di lavoro (1989/2019).
L’opera si sviluppa seguendo, da un lato, la cronologia delle opere proposte e, dall’altro, i temi trattati in ogni singola silloge. In questo primo volume sono presenti le classiche “orme poetiche” dell’autore, in cui si fondono elementi letterari con interventi grafici. Non mancano spunti di interattività e soluzioni più strettamente narrative. Argomento cardine di queste prime composizioni è l’amore. Non mancano però versi di carattere civile, che si concentrano, per lo più, fra quelli che vengono definiti “effetti collaterali”.
Per saperne di più su questo complesso ed originale progetto editoriale, raggiungiamo telefonicamente Polastri e gli poniamo alcune domande.
Gianluca, L’illusione gentile di esistere è un’opera che raccoglierà la sua produzione poetica dal 1989 al 2019. Come nasce l’esigenza di abbracciare l’intera produzione in un unico volume?
È un lavoro che non avevo programmato. Di solito si raccolgono le proprie opere quando non si ha più nulla di nuovo da scrivere; ma alcune mie vicissitudini personali che mi hanno portato, mio malgrado, ad avere una maggiore consapevolezza della morte, mi hanno spinto a fare un punto della situazione in anticipo sui tempi. Ho dunque riletto, con uno sguardo critico, tutto ciò che ho prodotto finora.
Quando ti dicono che per te non ci sarà più un futuro, credo sia normale girarsi indietro e cercare di capire cosa si sia fatto. Cosa si sia stati in grado di lasciare. Un po’ come ho scritto nella poesia La rana: C’è un momento in cui ti accorgi che sei quello che sei e non puoi più diventare altro”. Per fortuna ora sembra che potrò di nuovo guardare oltre l’orizzonte, ma ho deciso ugualmente di continuare a riordinare un po’ il mio lavoro, iniettandolo di nuove energie.
C’è un motivo ricorrente che, a posteriori, le è facile rintracciare nella sua produzione?
Ci sono più motivi ricorrenti in questo libro e sono fra loro strettamente legati. C’è il tema del limite, quello del viaggio, l’idea del confine. Riservo poi ampio spazio alla volontà di conoscenza, nelle sue diverse espressioni, perché per me è l’unico reale e autentico rapporto con il mondo che ci circonda. La conoscenza è intesa inoltre come veicolo di trasformazione personale, che è poi anche il fulcro della mia poesia d’amore. L’amore è senza dubbio un altro tema ricorrente. Conoscere l’altro aiuta, in primo luogo, a conoscere fino in fondo se stessi. Nella poesia Sulla strada di Delfi scrivo: Conosci te stesso come ti conosce chi ti vuole bene, perché, per conoscerti fino in fondo, devi prima imparare ad amarti… per ciò che sei, senza difese.
Questo progetto, in realtà, restituisce la complessità della sua produzione, che da sempre interseca versificazione, musica e arte grafica. Come descriverebbe questo incontro tra diverse forze espressive che caratterizza la sua produzione letteraria?
L’idea di andare oltre la parola richiama il tema del confine. Oggi viviamo in un mondo in cui si vuole imporre la purezza identitaria. La mia è una poesia anti-sovranista e di identità ingentilita, che vuole rompere la linea di confine fra le arti e creare situazioni in cui più linguaggi possano convivere. Così come convivono ogni giorno nella mia vita. Mi piace poi l’idea della poesia visuale, perché credo che in determinati casi possa essere in grado di rendere più accogliente la poesia, anche per coloro che temono di avvicinarsi a questa forma letteraria, che ai più provoca ancora diffidenza. Per quanto riguarda la musica, al di là delle mie conoscenza personali in materia, sto lavorando da qualche tempo ad alcuni progetti col compositore Marco Emanuele, che spero a breve possano essere proposti al pubblico.
Dal 1995 collabora con la Fondazione Sandro Penna. Che funzione hanno i modelli artistici e letterari nella sua opera? A quali ritiene di dovere le suggestioni più cospicue?
Ho iniziato a frequentare la Fondazione Sandro Penna nel 1991 e nel ’95 sono entrato a far parte attiva dell’organizzazione. Il primo ricordo che conservo di quella sede, al di là dei soffitti affrescati o del grande camino che fa mostra di sé nella sala principale, è un libro con la copertina celeste che era stato lasciato fuori dagli scaffali e in libera consultazione. Era l’opera omnia di Sandro Penna pubblicata da Garzanti. Devo confessare che quello che so di Sandro Penna ho cominciato ad apprenderlo in quel momento. Molte delle mie poesie sono brevi, raccolgono situazioni, disegnano emozioni proprio seguendo il modello del poeta umbro. Devo senza dubbio molto a questo incontro con la sua poesia, diretta ispiratrice del titolo della mia silloge Azzurromare che sarà riproposta nel secondo volume de L’illusione gentile di esistere.
In quegli anni, comunque, leggevo tanta poesia, da Maria Luisa Spaziani a Giuseppe Conte, da Roberto Mussapi a Gian Piero Bona, da Patrizia Valduga a Valerio Magrelli. Autori diversissimi e spesso con approcci alla realtà assai distanti fra loro, ma ognuno mi ha lasciato, chi più chi meno, qualcosa. Leggevo qualunque testo armato solo del mio spirito critico. Non m’interessava sapere in quale scuola o corrente avessero messo a fermentare le loro idee. Credo però non sfugga a nessuno come io abbia sempre avuto, come ho già accennato, una fortissima attrazione per la poesia visuale. Dopo aver scoperto a scuola Apollinaire e i suoi calligrammi, ho sempre avuto l’ambizione di potare un mio contributo in questa specifica forma espressiva. Chi avrà modo di leggere L’illusione gentile di esistere, si renderà conto di come nei miei versi abbia tentato di sviluppare questa tecnica, facendo ricorso anche alla mia passione per l’illustrazione e il disegno.
Una parte della sua produzione è dedicata agli effetti collaterali. A cosa si riferisce con l’espressione “effetti collaterali”?
Effetto collaterale è tutto ciò che non abbiamo previsto come conseguenza delle nostre e altrui azioni e che, spesso, crea situazioni di difficoltà e disagio più o meno profondi. Le poesie che definisco “effetti collaterali” sono brevi componimenti grafici che possiamo tranquillamente collocare nel genere della poesia civile. Io ritengo di essere un poeta militante, perché la poesia quando parla del mondo compie un atto politico. Oggi anche una poesia d’amore Lgbt è un atto politico, perché mette in luce l’identità dei sentimenti. Il mio modello di riferimento della poesia civile è Franco Buffoni. Grazie a lui i temi sociali sono diventati di nuovo centrali nella produzione poetica.
Cosa ha portato nella sua produzione poetica ciò che, nella prefazione, definisce “esperienza della fine”?
Vivian Lamarque, in una sua poesia, descrive l’esperienza della fine ritraendo il suo sconforto mentre, dal finestrino di un treno, vede ancora in spiaggia coloro che fino a qualche ora prima stavano giocando con lei. Nell’esperienza della fine c’è un fortissimo senso di esclusione, prima ancora che di dispiacere o di paura. Ti sembra di vivere qualcosa che gli altri non possono comprendere e hai la sensazione di essere escluso dal loro mondo. Per chi come me è già dovuto scendere a patti, nella sua storia, con il senso di esclusione, con l’essere percepito come un “diverso”, questa rinnovata esperienza ha assunto i toni di qualcosa di già visto. Quando mi hanno detto che non ero più in pericolo di vita, ho avuto un senso di liberazione simile a quello che si vive quando si fa coming out e si percepisce che tutti ti accetteranno per ciò che sei.
Scoprirsi a un passo dalla morte, inoltre, fa esplodere mille pensieri nella mente. E in quel mese e mezzo di degenza in ospedale ho avuto modo di riflettere davvero tanto. Molte di quelle idee, appuntate su un quaderno che mi aveva portato il mio compagno in ospedale, sono ora finite nella sezione intitolata Una cicatrice sul cuore, che sarà pubblicata nel terzo volume della raccolta. Se devo dire cosa mi ha portato questa esperienza, credo sia soprattutto un senso di maggiore umiltà e di ridimensionamento delle mie aspettative.
La produzione che intende raccogliere va dal 1989 al 2019: certamente tracce di cambiamento e trasformazione sono individuabili nella sua scrittura e nel suo universo poetico. Cos’è cambiato, invece, nella società italiana? Passi avanti o anche regressioni?
In trent’anni le trasformazioni sociali sono state davvero profonde. Quando ho cominciato a scrivere c’era ancora la Prima Repubblica e non era caduto il muro di Berlino. Erano anni in cui la politica era corrotta e ci si portava ancora dietro quel conservatorismo tipico delle società patriarcali, ma c’era un grande fermento e la voglia di migliorare il mondo. Si credeva nella possibilità di creare una società se non ideale almeno più giusta.
Oggi siamo di fronte a un periodo in cui vengono rimesse in discussione tutte le conquiste ottenute, le si considerano semplici concessioni da parte di chi è più forte. Si è perso il rispetto per chiunque non risponda agli standard imposti dalla maggioranza. Penso a casi eclatanti come quello di Liliana Segre. Non credo però che sia, come si dice, l’esito di una regressione culturale. La sola ignoranza non giustifica il cambiamento a cui si è potuto assistere in così pochi anni. Senza dubbio è venuto meno quel perbenismo ipocrita tipico della cultura italiana, ma le persone sono sempre le stesse. L’unica differenza è che prima di vergognavano a esprimere certe idee in pubblico. Quella a cui stiamo assistendo è una regressione politica dovuta alla rottura del patto sociale. Ognuno pensa a se stesso e non riconosce più nello Stato il legittimo tutore delle ragioni di tutti. In poche parole, non siamo più una comunità. Per tornare ad esserlo, però, non bastano le leggi, è necessario che si formi una nuova coscienza collettiva che solo scrittori e artisti possono diffondere in modo efficace. In questo contesto ha un ruolo determinante anche la poesia.