Si è svolto ieri mattina in Campidoglio, alla presenza della sindaca Virginia Raggi, il convegno Dall’etica all’anagrafe. Dal ruolo della donna al problema burocratico nella g.p.a. Riflessioni e analisi.
Organizzato e presieduto da Gemma Guerrini, presidente della Commissione capitolina delle Pari Opportunità, il meeting aveva suscitato, nei giorni scorsi, una vivace contestazione da parte di alcune associazioni Lgbt soprattutto per la presenza, come relatrici, di sole «donne contrarie ai percorsi di gestazione per altre» (con l’eccezione della filosofa «Chiara Saraceno, che tenta di problematizzare»). Un’assise convegnistica, insomma, dalla totale unidirezionalità, messa maggiormente in luce dai titoli inequivocabili dagli interventi.
In realtà, ad avere un approccio problematizzante alla questione non soltanto la docente Saraceno ma anche la neo-assessora alle Pari Opportunità Veronica Mammì, che è brevemente intervenuta nella parte prolusiva ai lavori.
Ma pure, e soprattutto, la senatrice pentastellata Alessandra Maiorino, che avrebbe dovuto rivolgere un saluto istituzionale ma non ha potuto poi partecipare al convegno per impegni paralleli. Cosa, invero, che non le ha impedito di apportare la sua riflessione attraverso un video-messaggio, in cui ha esordito dicendo: «Scegliere di affrontare questo tema, infatti, quello della gpa – gestazione per altri – è già di per sé un atto coraggioso. Farlo il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è addirittura temerario».
Nella parte centrale dell’intervento, specificamente incentrata sul tema, la senatrice, prima firmataria, fra l’altro, di un ddl anti-omotransfobia, ha voluto anche rivelare un episodio autobiografico direttamente connesso alla gpa.
Eccone il testo:
«E ora, come promesso, un cenno al tema che impegna i lavori della mattinata.
Come dicevo, affrontare questo tema richiede coraggio, ancor più ne richiede affrontarlo nel giorno dedicato alla lotta alla violenza contro le donne. Perché è un tema sul quale è difficile mantenere l’equilibrio, perché è un tema facilmente strumentalizzabile da campagne di stampo ideologico. È un tema che ha a che fare con i sentimenti più umani che si possano provare, come il desiderio di avere dei figli, e con i diritti più fondamentali della persona: quello di riprodursi. Espone quindi facilmente a critiche, può dar adito a polemiche, o peggio, può farti diventare bersaglio di una parte o dell’altra degli opposti schieramenti che si fronteggiano su basi ideologiche. Ma se il tema richiede coraggio, io non farò mancare il mio. Infatti, perché si possa comprendere quale sia davvero il mio approccio verso la gpa devo necessariamente abbandonare il mio ruolo istituzionale e raccontarmi senza protezioni, come si farebbe con degli amici.
Uno squarcio di vita vissuta personalissimo, che chiarirà, mi auguro, i miei sentimenti riguardo al portare avanti una gravidanza per altri.
Molti anni fa, ben prima che avessi l’onore e la responsabilità di entrare nelle istituzioni e anche di militare in un forza politica, vivevo praticamente in simbiosi con un gruppo di amici, come capita spesso quando si è giovani. All’interno di questo gruppo di amici, le persone più vicine a me erano due ragazzi gay, che erano e sono in una relazione stabile da anni. Tra noi c’era e c’è un legame indissolubile di affetto e stima reciproci, costruito in anni di amicizia. Ebbene, un giorno, uno dei due, un po’ scherzando, un po’ facendo sul serio, disse: Sandrì, sai che bello se ci facessi da mamma di un figlio?. Un’Esternazione che sembrava buttata lì in maniera quasi estemporanea, ma che sottendeva invece una miriade di sentimenti: il desiderio malinconico di avere dei figli propri, una vera e propria dichiarazione di amore per me, scelta per questo compito immane, e la consapevolezza della difficoltà quasi insuperabile della cosa.
Come che sia, se ne parlò per un certo tempo. Non lo stavamo pianificando, ma di certo lo stavamo sognando e immaginando. Come avrebbe potuto essere il nascituro o la nascitura, come avremmo potuto organizzarci logisticamente, in che modo avremmo dovuto cambiare le nostre vite, e insomma, per un po’ ci crogiolammo in questi discorsi, e in questo sogno, e a volte finivamo per ridere a crepapelle quando il ragazzo di quello che avrebbe dovuto essere il padre biologico diceva: Speriamo che prende la testa di Sandra e non il tuo cervello da gallina!.
Non lo abbiamo mai fatto. Come ho detto, non lo stavamo pianificando, ci stavamo limitando ad accarezzare quell’idea. Ma io non ci avrei visto e tuttora continuo a non vederci niente di sbagliato se invece avessimo deciso di farlo davvero. Perché so che se non ci fossimo limitati al sogno, e fossimo passati alla sua realizzazione, quel bimbo, o quella bimba, avrebbe avuto tutto quello di cui un bimbo e una bimba hanno bisogno. Se far nascere un bambino è una scelta d’amore, quel bambino (o quella bambina) nasceva da una scelta d’amore. Se un bambino per crescere sano e forte psicologicamente, ha bisogno in un ambiente dove ci siano amore, supporto e generosità, quel bambino, non ho alcun dubbio, sarebbe cresciuto sano e forte, perché avrebbe trovato tutto questo.
Ora, se è di questo che parliamo quando parliamo di gestazione per altri, allora io non posso che appoggiarla. Perché in questi termini, è un gesto di puro e disinteressato altruismo, da parte di tutti gli attori in gioco.
Ma è proprio e sempre di questo che si tratta? È di fronte a questo interrogativo che le mie certezze si arrestano. E che lascio la parola a chi ha più competenza di me per trattare l’argomento nella maniera dovuta. Da antichista, voglio però aggiungere solo un’ultima cosa. Aristotele ci ha mostrato nelle sue opere le vette cui il pensiero e la riflessione umana possono giungere, e di questo gli saremo sempre grate, e saremo grate al tempo, che le ha risparmiate facendocene dono.
Aristotele però fu anche il teorizzatore più sistematico di un’inferiorità biologica della donna rispetto all’uomo, che poi diveniva per estensione inferiorità etica: la donna nella riproduzione era infatti portatrice della materia inerte, mentre l’uomo della forma. La donna non era altro che il vaso di terracotta entro cui si cuoceva la vita, che era portata dal seme maschile.
Ora, se in virtù di quelle vette del pensiero umano cui accennavo prima siamo disposte, non certo a perdonare, ma forse ad abbonare ad Aristotele l’aver potuto pensare e sostenere un simile abominio, una cosa tuttavia è certa: che non siamo disposte a rimettere le lancette dell’orologio indietro di millenni, e far tornare la donna ad essere un fornetto di terracotta, senza diritti, senza meriti, e senza dignità umana».