Il coparenting si riferisce a una situazione genitoriale in cui gli adulti condividono i doveri genitoriali verso un bambino. Esso differisce da una relazione intima tra adulti in quanto focalizzata esclusivamente sul bambino. Pertanto gli adulti in relazione di coparenting vivono e crescono insieme i loro figli senza l’intimità fisica propria di una relazione tradizionale e senza l’aspettativa di condividere l’amore romantico reciproco.
Per saperne di più, Gaynews ha deciso di raggiungere telefonicamente Gianni Bettucci, direttore artistico della compagnia di teatro internazionale, residente a Berlino, Familie Flöz.
Gianni ci racconti la tua esperienza di coparenting?
Mi sono trasferito in Germania nel 2000 e da sempre volevo diventare padre. Pensavo, infatti, di fare un figlio con un’amica single ma le mie amiche italiane erano molto scettiche a tal proposito e la pratica della gestazione per altri costava troppo per le mie possibilità. Nel 2010 mi sono, allora, messo a cercare delle donne lesbiche che avessero voglia di fare un figlio con me fin quando ho scoperto un portale che si chiama familyship.org, che è un portale di coparenting rivolto a persone omosessuali ed eterosessuali. Così ho incontrato Kristine, che è la creatrice di questo website. Con Kristine ci siamo frequentati per un anno: i nostri genitori si sono conosciuti e abbiamo deciso che eravamo le persone giuste per avviare una relazione di coparenting.
Allora io e Kristine abbiamo avuto quella che si definisce una “fertilizzazione in casa”, che in tedesco si chiama “metodo del bicchierino” cioè senza atto sessuale, e al terzo tentativo lei è rimasta incinta. Viviamo praticamente insieme, io ho comprato due appartamenti uno accanto all’altro con una cucina in comune e un grande tavolo che è il luogo della famiglia. Io ho anche un compagno che a sua volta ha un figlio con un’amica lesbica e così siamo una grande famiglia.
Ci parli del gruppo dei Rainbow Daddies?
Dopo la nascita di mia figlia mi sono reso conto che mi mancava lo scambio con altri omosessuali che fossero diventati genitori con il coparenting – lo scambio con i miei amici eterosessuali non era molto fruttuoso perché erano esperienze diverse – e così ho fondato il gruppo che si chiama The Rainbow Daddies. Alla prima riunione, tre anni fa, eravamo in tre, io e due miei ex compagni, e adesso siamo diventati più di 150 padri solo a Berlino, con tanti altri padri in giro per la Germania che ci seguono. Abbiamo una pagina Facebook e una Instagram e abbiamo realizzato un crowfunding per pubblicare il primo libro di padri omosessuali che uscirà a marzo, in Germania.
Qual è l’atteggiamento della società nei confronti dell’esperienza di coparenting? L’Italia è, a tuo parere, più resistente della Germania a simili soluzioni relazionali?
La Germania è una società protestante ed è certamente più aperta: basta considerare che il pastore di Kreuzberg è anche lui omosessuale e da qualche mese è diventato padre. Berlino è la città il cui sostrato culturale rende possibili tante sperimentazioni, anche quella del coparenting, che è un concetto molto nuovo ed evolutivo nella storia dell’umanità. In Italia ci sono altre urgenze, vanno risolti altri problemi e poi ci si potrà concentrare sul coparenting ma conosco anche amici italiani che lo hanno fatto e, secondo me, è la soluzione della genitorialità omosessuale del futuro.
Qual è la contaminazione tra vita e teatro relativamente all’esperienza di coparenting nella produzione di Familie Flöz?
Io lavoro con Familie Flöz ed è bello osservare come il gruppo abbia accolto con entusiasmo la mia esperienza di coparenting. Milla e Kristine viaggiano con noi in tournée e sono parte integrante della compagnia. Avevamo pensato anche di fare un pezzo teatrale sul coparenting ma per raccontare una storia del genere è necessario inevitabilmente fare ricorso alle parole.