A pochi giorni dalla polemica suscitata dagli appelli alla sobrità durante il Basilicata Pride abbiamo incontrato Porpora Marcasciano, presidente onoraria del Mit e voce libera della collettività Lgbti.
Porpora, nel tuo libro Antologaia ti racconti e racconti un’epoca nella quale il senso di lotta di liberazione e d’uguaglianza per le persone Lgbti passava attraverso la grande voglia di vivere per quello che si è e non per quello che gli altri vorrebbero che fossimo. Oggi è ancora cosi? O il fabbisogno di omologazione è più forte perché è più rassicurante?
Il mio sforzo in Antologaia è stato quello di ricercare un continuum tra quella dimensione e l’attuale. Sarebbe assurdo che non ci fosse continuità, perché se così fosse neanche lo avrei scritto. In quel periodo noi tutte non avevamo nulla da perdere: tutto era in costruzione. Come scrivo nel libro – “non conoscevamo il futuro ma ci piaceva immaginarlo” -, uscendo da una storia di negazione, il futuro era nelle nostre mani e per questo lo costruivamo secondo la nostra visione, i nostri bisogni, le nostre fantasie. Tutto questo si chiama costruzione di senso. A mio avviso oggi quella costruzione la stanno facendo altri al posto nostro (la morale, la politica, il mercato) dando quindi il loro senso, la loro visione, la loro morale. Possono sembrare concetti antiquati o vuoti, ma di questo si tratta. L’omologazione è purtroppo una tendenza in atto. Tanto in atto che neanche ce ne rendiamo conto. L’aspirazione ad avere una vita soddisfacente e dignitosa coincide purtroppo con l’uniformarsi a modelli che non possono e non potranno mai considerarci poiché sono la negazione stessa della nostra esperienza.
C’è chi dice che il tempo di “mostrarsi “ per ottenere diritti è passato. I Pride non hanno più necessità di culi e tette al vento? È proprio cosi?
Può darsi, ma la storia ci insegna che non sempre l’evoluzione corrisponde al progresso o, meglio, non sempre l’andare avanti comporta un automatico avanzamento sociale culturale, politico. Non è antagonismo il mio, ma realismo storico. Perché sia vero il contrario, tutte noi dovremmo essere più presenti, attive, vigili e non dare per scontato cose che scontate non sono. Forse è un mio limite ma non riesco a vedere oggi un orizzonte rassicurante. Del resto basta affacciarsi alla finestra. La sessualità, il genere, il corpo sono da sempre campi di battaglia su cui si decidono politiche e persino guerre. Non vedere questo è, a mio avviso, grave e irresponsabile. Nella nostra visione e percezione ci fermiamo di solito agli ultimi 40 anni, quelli della liberazione. Ma la storia è molto più ampia e ci dice altro. Se non ne prendiamo atto e agiamo, le conseguenze potrebbero essere disastrose. Del resto si tratta della nostra vita.
Per Porpora Marcasciano che cosa è la libertà dei corpi? E oggi, dopo la legge sulle unioni civili, ha ancora senso parlarne?
La libertà è libertà dei corpi. Attraverso il corpo possiamo capire e interpretare il mondo. Questo non è però scontato. Le trasformazioni sono spesso invisibili, impercettibili, insidiose e ce ne rendiamo conto solo quando è troppo tardi. Continuando a castigare il corpo secondo una tendenza in atto, lo ricollochiamo esattamente nelle paludi da cui lo avevamo tratto in salvo. Le opinioni a proposito possono divergere, è normale, ma a una visione attenta non può sfuggire un moralismo strisciante e un’omologazione imperante che stanno ricastigando il corpo, la sessualità, il desiderio. Non permettiamo che siano i posteri poi a dirlo: sarebbe una brutta cosa. Facciamolo noi con uno sforzo intellettivo prima ancora che intellettuale: guardiamo la storia, quello che ha prodotto e quello che, purtroppo, produce.
Siamo nate con la liberazione, l’emancipazione, la rivoluzione. Cerchiamo di non collocare questi concetti nella dimensione del passato. Attualizziamoli perché, se non lo facciamo noi, ci sono infinite “sentinelle” che lo faranno. La liberazione non è datata ma in atto: è qualcosa che procede e non va fermata, è movimento.
C’è, secondo te, transfobia nel mondo Lgbti? Non parlo di quella interiorizzata ma di quella palese. E, se c’è, come si manifesta?
Sarebbe semplicistico vedere la transfobia solo come atto di violenza e sopraffazione fisica. Essa è un prodotto culturale ed è radicata nel nostro sistema che, diciamolo, è transfobico, omofobo, razzista, classista poiché mette al centro dell’universo il proprio modello. Quel modello lo abbiamo interiorizzato e viene fuori quando meno ce lo aspettiamo: nei rapporti sessuali, politici, di amicizia e di movimento. Questo il motivo per cui le persone trans sono sempre escluse e restano le ultime. Fatta esclusione degli odierni Pride, dove finché si tratta di folklore va bene, quando mettiamo in discussione i cardini scoppia la bagarre.
Se tu dovessi indicare un poeta, uno scrittore o uno scienziato che ha fatto della non conformità la pietra centrale del suo genio, a chi penseresti?
Non è uno solo, ma diversi. E al primo posto non voglio mettere un uomo ma una trans. Quindi secondo la mia costruzione di senso, metterei Sylvia Rivera poetessa della ribellione, Mario Mieli poetessa della liberazione, Roberta Ferranti grande maestra di vita. Imprescindibili per me sono Michel Faucault, Pier Paolo Pasolini, Jean Genet. Da soli potrebbero darci la cassetta degli attrezzi per interpretare e cambiare il mondo.
Vorrei chiudere questa intervista con un pensiero rivolto a Marcella di Folco. Secondo te cosa griderebbe con il suo vocione in piazza oggi dopo l’emanazione della legge sulle unioni civili?
Marcella, anzi Marcellona, è il simbolo stesso della fisicità. In lei erano racchiuse tutte le identità negate: per questo le interpretava, le esternava e ce le sbatteva in faccia. Marcella aveva un’intelligenza sopra la norma, sapeva bene cosa dire, cosa fare e cosa chiedere in quel momento. La sua voce imperiosa era voce di movimento contro tutti i moralisti e i finti alleati. E ci ricorderebbe tutto ciò.