È crisi diplomatica tra Zambia e Usa, che il 23 dicembre hanno ritirato l’ambasciatore Daniel Foote, dichiarato dal governo del Paese africano «persona non gradita». Alla fine di novembre il diplomatico statunitense si era detto inorridito dalla sentenza di condanna a 15 anni di carcere, irrogata da un’alta Corte di giustizia di Lusaka nei confronti di Steven Samba e Japhet Chataba per «atti contro natura».
Denunciando l’applicazione di due pesi e due misure da parte dell’amministrazione giudiziaria della Repubblica dello Zambia, Foote aveva dichiarato: «Personalmente sono inorridito. Non c’è stata alcuna violenza: i due uomini hanno avuto un rapporto consensuale».
Ricordando come il Paese dell’Africa meridionale ricevesse annualmente 500 milioni di dollari in aiuti finanziari dagli Usa, aveva poi rilevato come «ai funzionari governativi sia invece concesso di rubare milioni di dollari di fondi pubblici senza essere mai processati. Quando i politici picchiano i cittadini perché osano esprimere solamente la propria opinione, nessuno dice nulla».
Immediate in novembre le reazioni del ministro zambiano degli Esteri Joseph Malanji, che aveva replicato: «Un rappresentante di un governo straniero che rimette in discussione una decisione di giustizia equivale a mettere in discussione la nostra stessa Costituzione».
Il 2 dicembre gli si era accodato il presidente Edgar Lungu col dichiarare che non avrebbe mai ceduto a pressioni diplomatiche ed economiche esterne. Il 15 il Capo di Stato aveva pubblicamente affermato di aver inviato una lettera di protesta a Washington sulle osservazioni di Foote e di essere in attesa di risposta.
Risposta, che è arrivata indirettamente lunedì con il ritiro di Foote e la decisione di non sostituzione dello stesso, dopo che il Dipartimento di Stato si era precedentemente detto «costernato» dalla posizione del governo dello Zambia.
Su 54 Paesi del continente africano, oltre allo Zambia, i rapporti tra persone dello stesso sesso sono considerati reato in altri 31 Paesi. Vige, inoltre, la pena di morte in Sudan, Nigeria settentrionale, Somalia meridionale mentre in Mauritania ne è contemplata la possibilità.