Il 18 dicembre si è tenuto alle Nazioni Unite un meeting per discutere della strategia messa a punto dagli Stati Uniti per decriminalizzare l’omosessualità in «almeno 69 Paesi».
Organizzato da Kelly Craft e Richard Grenell, rispettivamente ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite e ambasciatore degli Stati Uniti in Germania, l’incontro si ricollega alla campagna mondiale per la decriminalizzazione dell’omosessualità che, lanciata in febbraio dalla Casa Bianca, è stata illustrata dallo stesso Donald Trump, il 24 settembre, all’Assemblea generale dell’Onu.
In un tweet lanciato il giorno stesso del meeting, l’ambasciatrice Craft ha sottolineato: «Nessuna persona dovrebbe essere danneggiata, torturata o uccisa a causa del suo orientamento sessuale. Tuttavia almeno 69 paesi criminalizzano l’omosessualità. Il nostro evento oggi alle Nazioni Unite ha dimostrato il nostro impegno a tutela della dignità umana e a collaborazione coi gruppi Lgbtq, per depenalizzare l’omosessualità».
No person should be harmed, tortured or killed because of their sexual orientation, yet at least 69 countries criminalize homosexuality. Our event today at the @UN showed our commitment to defending human dignity & partnering with #LGBTQ groups to decriminalize homosexuality. pic.twitter.com/HZo6nw8GWM
— Ambassador Kelly Craft (@USAmbUN) December 18, 2019
Le prime parole di Craft: «Nessuna persona dovrebbe essere danneggiata, torturata o uccisa a causa del suo orientamento sessuale» sono state riprese da un tweet della Casa Bianca (22 dicembre), ritwittato dal Dipartimento di Stato che ha anche menzionato parte del discorso del presidente Trump alle Nazioni Unite.
No person should be harmed, tortured, or killed because of their sexual orientation. pic.twitter.com/ow3D95HBox
— The White House (@WhiteHouse) December 22, 2019
.@USAmbUN Craft & U.S. Ambassador to Germany Grenell hosted a UN event to discuss efforts to decriminalize homosexuality in at least 69 countries. As @realDonaldTrump said this fall, “As we defend American values we affirm the right of all people to live in dignity.” https://t.co/J0Rucx2tQz
— Department of State (@StateDept) December 23, 2019
In realtà, stando al report tracciato in marzo da Ilga, sono 70 i Paesi in cui l’omosessualità è considerata reato (ai 68 che contemplano una legislazione specifica, vanno aggiunti Iraq e Egitto dove è criminalizzata de facto). Numero che è rimasto immutato in giugno, quando l’adozione della cosiddetta legge anti-gay da parte del Gabon (5 giugno) è stata compensata dalla depenalizzazione dell’omosessualità in Botswana (11 giugno). Lista che salirebbe a 73 aggiungendo lo Stato de iure della Palestina e quello libero associato delle Isole Cook (entrambi non facenti parte delle Nazioni Unite) nonché la provincia di Aceh in Indonesia.
Uno dei maggiori artefici della campagna statunitense è Richard Grenell, trumpiano di ferro, pentecostale e dichiaratamente gay, che vive da 17 anni col suo compagno Matt Lashey ed è stato firmatario quale amicus curiae della lettera alla Suprema Corte a sostegno del matrimonio egualitario durante il caso Hollingsworth v. Perry (2013).
Al di là del sincero impegno di Grenell – che, nominato il 3 ottobre inviato speciale in Serbia e Kosovo, continua a essere mal visto a Berlino per le continue ingerenze negli affari interni della Germania – non si può non rilevare la contradditorietà di Donald Trump sulla questione Lgbti. Se da una parte è sostenitore della campagna mondiale di decriminalizzazione dell’omosessualità, dall’altra, come monitorato attentamente da Glaad, sono ben 131 le volte in cui ha attaccato le persone Lgbti dall’inizio del suo mandato a oggi.