Prefato da Pasquale Ferro, A destra dell’arcobaleno è un romanzo pubblicato qualche mese fa da una giovane casa editrice napoletana, la MEA, ed è stato scritto a due mani da Carlo Kik Ditto, autore della rubrica Lgbt L’angolo della pecora rosa su SenzaLinea.it e dal direttore di quest’ultima, il giornalista Enrico Pentonieri.
Si tratta di un romanzo abbastanza atipico, dal momento che i due autori sviluppano due linee narrative diverse e parallele. Il punto di convergenza ovviamente c’è ed è nel nodo esistenziale e sentimentale in cui nasce e si sviluppa la tormentata relazione tra Diego e Matteo.
Diego è uno scrittore e giornalista, attivista in vari gruppi per i diritti umani ed è omosessuale. Incontra per caso Matteo, 20enne gay, e dopo uno scambio di battute se ne innamora, iniziando così una relazione turbolenta quanto sensuale e passionale.
Il padre di Matteo è un avvocato, si chiama Antonio, e ha appena deciso di scendere in campo per le elezioni politiche comunali con un partito di estrema destra. Antonio è reazionario e categorico, è un fermo sostenitore della famiglia tradizionale, reputa l’omosessualità un’indecenza ed è fermamente convinto che sia una malattia alla stregua del cancro e della malaria.
Antonio non sa della relazione tra Diego e suo figlio, l’unica a saperlo è la moglie Giulia. In una veloce escalation di situazioni, incontri e scontri i due protagonisti, Antonio e Diego, si affrontano a viso aperto e senza esclusioni di colpi.
A poche ore dalla presentazione napoletana del romanzo, all’interno della manifestazione letteraria Poetè presso il Chiaja Hotel de Charme (alle 18.30), incontriamo Enrico Pentonieri nella redazione di SenzaLinea per saperne di più su questo progetto editoriale.
Enrico, quando e perché hai deciso di scrivere questo romanzo con Carlo Kik Ditto?
L’idea di scrivere A destra dell’arcobaleno è nata per caso quasi un anno fa e subito ne parlai con Carlo per proporgli il progetto, conoscendo il suo modo di scrivere, sapevo che avrebbe gestito bene il suo personaggio, cioè quello di Diego. La struttura narrativa è inusuale, in tutto e per tutto sono due storie separate, quella di Antonio e quella di Diego, due vite, due visioni dello stesso momento.
Questo libro restituisce al lettore, in maniera netta e cruda, tanti pregiudizi e luoghi comuni sull’omosessualità alimentati in ambienti politici tradizionalmente ostili ai diritti delle persone Lgbt+. Credi che i pregiudizi verso le persone omosessuali siano appannaggio solo della “cultura” di estrema destra?
No non credo che il pregiudizio omofobico sia un’esclusiva di destra. Ma sicuramente alimentare il pregiudizio e lo stigma anti-gay è il modo migliore per fare propaganda e orientare una massa informe, cioè il popolo, verso un universo mentalmente distopico.
Da giornalista e attento osservatore della situazione politica contemporanea, credi che esista il pericolo di una deriva “fascista” in Europa e in Italia?
Una deriva fascista in Europa esiste ed è reale, ma solo perché il piatto a tavola c’è ancora e si cerca il “nemico” di turno per andare avanti.
Il vostro libro prova a narrare il clima omofobico che spesso i più giovani vivono all’interno della propria famiglia. Che prototipo di famiglia emerge dalla lettura del tuo romanzo? La famiglia è davvero un porto sicuro per tutte e tutti?
L’obiettivo del lavoro è quello di presentare la famiglia come nucleo e non come quadretto natalizio. Abbiamo provato a mostrare entrambe le facce della famiglia. La famiglia,al di là dell’aspetto biologico, è quella che una persona si crea, è quella composta dalle persone che troverai sempre al tuo fianco, al di là del carattere e degli interessi. La mia famiglia è il mio giornale, SenzaLinea, e darei la vita per ognuno dei miei redattori, anche quelli che hanno abbandonato, non negherei mai un aiuto.