Uscirà l’11 febbraio, giorno in cui in Vaticano si festeggia l’anniversario dei Patti Lateranensi, San Giovanni Paolo Magno, il libro-intervista, per i tipi San Paolo, tra Papa Francesco e il giovane sacerdote aquilano Luigi Maria Epicoco, dedicato alla vita e alla spiritualità di Wojtyła in occasione dei 100 anni della nascita a Wadowice (18 maggio 1920).
Del volume, di cui è già in corso la traduzione in polacco, francese, spagnolo, portoghese, inglese, aveva dato per primo anticipazione, il 15 gennaio, il vaticanista de La Repubblica Paolo Rodari col presentarlo come «una riflessione che nei fatti va proprio a riscrivere la narrazione distorta» del rapporto di Bergoglio con Giovanni Paolo II.
Tra i tanti temi trattati anche quello della gender theory, che, sdoganata a livello ufficiale proprio da Wojtyła, è stato ripetutamente affrontato da Francesco in maniera più consistente, rispetto ai predecessori, a livello tanto numerico quanto contenutistico. Benché si tratti di una delle principali teorie complottistiche contemporanee, la cui elaborazione si deve all’opusdeiana Dale O’Leary nel 1997 e la cui persistente diffusione può paragonarsi (fatte le debite distinzioni) con le antiche tesi del complotto giansenistico, gesuitico, massonico, plutogiudaico.
Bergoglio, che nel libro non ha fatto che riprendere concetti già espressi altre volte, soprattutto il 3 ottobre 2016, sembra non rendersi conto come non esista nessuna gender theory a differenza dei gender studies, che sono ben altra cosa, e come quella che lui chiama ossessivamente colonizzazione ideologica sia ben lungi dall’effettivamente esistere.
Eccone di seguito le sue parole così come compaiono alle pagine 103-105:
In ogni epoca storica il male si è manifestato in diverse maniere. Secondo Lei, in questo momento storico qual è la modalità più specifica attraverso cui il male si fa presente e agisce?
Una di queste è la teoria del Gender. Voglio però subito precisare che dicendo questo non mi sto riferendo a coloro che hanno un orientamento omosessuale. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci invita anzi ad accompagnare e a prenderci cura pastorale di questi fratelli e di queste sorelle. Il mio riferimento è più ampio e riguarda una pericolosa radice culturale. Essa si propone implicitamente di voler distruggere alla radice quel progetto creaturale che Dio ha voluto per ciascuno di noi: la diversità, la distinzione. Far diventare tutto omogeneo, neutrale. È l’attacco alla differenza, alla creatività di Dio, all’uomo e la donna. Se io dico in maniera chiara questa cosa, non è per discriminare qualcuno, ma semplicemente per mettere in guardia tutti dalla tentazione di cadere in quello che è stato il progetto folle degli abitanti di Babele: annullare le diversità per cercare in questo annullamento un’unica lingua, un’unica forma, un unico popolo. Questa apparente uniformità li ha portati all’autodistruzione perché è un progetto ideologico che non tiene conto della realtà, della vera diversità delle persone, dell’unicità di ognuno, della differenza di ognuno. Non è l’annullamento della differenza che ci renderà più vicini, ma è l’accoglienza dell’altro nella sua differenza, nella scoperta della ricchezza nella differenza.
È la fecondità presente nella differenza che fa di noi degli esseri umani a immagine e somiglianza di Dio, ma soprattutto capaci di accogliere l’altro per ciò che è e non per ciò in cui lo vogliamo trasformare. Il cristianesimo ha sempre dato priorità al fatto più che alle idee. Nel Gender si vede come un’idea vuole imporsi sulla realtà e questo in maniera subdola. Vuole minare alle basi l’umanità in tutti gli ambiti e in tutte le declinazioni educative possibili, e sta diventando un’imposizione culturale che più che nascere dal basso è imposta dall’alto da alcuni Stati stessi come unica strada culturale possibile a cui adeguarsi.