Dieci punti per fare in modo che ogni persona possa autodefinire la propria identità di genere senza l’obbligo di mostrare un certificato medico o un’attestazione legale. Sono quelli avanzati dal Mit – Movimento Identità Trans, che ha ieri presentato, presso la sede bolognese di via Polese, la piattaforma per una proposta di riforma della legge 164/1982. A intervenire Porpora Marcasciano (presidente Mit), gli avvocati Matteo Bonini Baraldi e Giovanni Guercio, Gioele Hyland (presidente Gender X), Regina Satariano (presidente Consultorio Transgenere).
Benché all’epoca fosse stata ritenuta avanguardistica e una grande vittoria per le persone trans, la 164 mostra oggi tutti i suoi limiti e criticità. Da qui la necessità di lasciarsi «decisamente alle spalle l’impianto paternalistico» di una legge ormai datata, la cui approvazione si dovette soprattutto all’impegno del Partito Radicale e del Mit. L’associazione, che all’epoca si chiamava Movimento Italiano Transessuali ed era sorta nel 1979, contò, inizialmente, le sedi di Torino, Milano, Firenze, Roma e, successivamente, Bologna e Treviso. Col tempo l’unico Mit a essere attivo sul territorio nazionale è rimasto proprio quello bolognese.
Con lo sguardo attento a quanto fatto in passato ma totalmente proteso al futuro, il Mit ha pertanto individuato 10 punti per cambiare «radicalmente il modello legislativo vigente». A partire, innanzitutto, dal riconoscimento del diritto all’identità e alla libera espressione di genere.
Le singole persone devono essere poi lasciate libere «nella scelta delle modalità di attuazione del percorso di affermazione di genere, con eliminazione dell’autorizzazione giudiziaria all’intervento chirurgico». È altresì importante garantire la «gratuità delle terapie ormonali sostitutive» e che il mantenimento medico-chirurgico sia a carico del Servizio sanitario nazionale, «al fine di garantire il pieno benessere psicofisico della persona e la sua salute sessuale».
Si chiede poi che la rettificazione anagrafica del sesso sulla base della sola attestazione del soggetto interessato e che la stessa sia garantita anche per lo stato civile e, quindi, per il cambio dei documenti (patente, codice fiscale, titoli di studio e professionali, eccetera).
Ci sono poi la messa al bando degli interventi medici su neonati e minori intersex come anche delle cosiddette terapie riparative. Infine, negli ultimi due punti, il Mit chiede che vengano inserite (e aggiornate) delle linee guida a livello ministeriale per favorire una maggiore inclusione e riconoscimento nei contesti sociali delle persone trans (scuola, sport, carcere, accesso alla sanità, seggi elettorali, eccetera).
Una proposta ampia e articolata che possa contribuire a far sì che l’Italia si adegui a quanto richiesto dal Consiglio d’Europa che, recentemente, ha raccomandato agli Stati membri di «snellire e velocizzare – come ricordato da Porpora Marcasciano – le procedure per la rettificazione anagrafica, garantire l’accesso al supporto medico sulla base del consenso informato e rispettare il diritto alla vita privata e alla parita’ di trattamento delle persone trans».
Come specificato da Valentina Coletta, portavoce politica del Mit, «non sono 10 punti definitivi bensì un punto di partenza per accendere i riflettori sul riconoscimento delle persone trans, considerata la totale assenza di dibattito politico sul tema in Italia”.
Al momento la proposta di riforma è stata sottoscritta da Atn – Associazione Transessuale Napoli, Azione Trans, Consultorio Transgenere, Gender X, Mixed Lgbtiq, Sunderam Identità Transgender Torino Onlus e, a titolo personale, da Giovanni Guercio, Ottavia Voza e dall’assessora alle Politiche Sociali del Municipio VII di Roma Capitale Cristina Leo.