Si fa sempre più critica la situazione per le 200 persone Lgbti+ rifugiate nel campo di Kakuma a seguito della diffusione del Covid-19 in Kenya, il cui primo caso accertato risale al 13 marzo. Senza cibo sufficiente, alloggi adeguati, assistenza sanitaria e protezione dalla violenza e dalla discriminazione sì da essere spesso dimenticate e lasciate da sole a lottare per la propria incolumità, esse si trovano adesso ad affrontare una sfida ancora più grande per poter sopravvivere.
Stabilito nel 1992 dall’Alto Commissariato per le Nazioni Unite, il campo di Kakuma sorge nella contea keniana di Turkana al confine con l’Etiopia e il Sudan del Sud, dilacerato per sette anni da una sanguinosa guerra civile, che si è conclusa il 22 febbraio scorso.
Per aiutare a pagare i pasti, le forniture sanitarie di base, il trasporto di emergenza e l’assistenza medica ai 200 rifugiati Lgbt+ di Kakuma nei prossimi tre mesi, All Out e la Coalizione dei rifugiati dell’Africa orientale hanno lanciato una raccolta di fondi d’emergenza.
Contattato telefonicamente da Gaynews, Yuri Guaiana, presidente dell’Associazione radicale Certi Diritti e senior campaigns manager di All Out, ha dichiarato: «Quando parliamo di Africa, noi italiani pensiamo subito ai rifugiati che arrivano da noi in cerca di salvezza o di un futuro. Ma il più grande campo di rifugiati al mondo è situato nella regione nord-orientale del Kenya. Vi sono circa 200.000 persone ammassate in uno spazio che è stato costruito per accoglierne 70.000.
I rifugiati Lgbt+ vivono una situazione particolarmente critica essendo costantemente vittime di persecuzione, discriminazione e maltrattamenti da parte degli altri rifugiati, della comunità circostante e della polizia. Quando il Coronavirus arriverà a Kakuma, la sua diffusione sarà rapida e devastante, specialmente per i rifugiati Lgbt+, che spesso vengono ignorati e abbandonati a loro stessi. Per cercare di aiutarli, abbiamo lanciato una raccolta fondi, cui si può aderire sul nostro sito».