Nessuno può parlare a nome di tutti e tutte. È questo il messaggio inequivocabile lanciato da numerose associazioni Lgbti italiane in risposta a un articolo che, apparso oggi sul quotidiano Libero e basato su una richiesta avanzata da una non meglio precisata «comunità di migranti lesbiche, gay, bisex e trans direttamente al Gay Center», recava il titolo Gli immigrati gay contro la sinistra e l’occhiello Appello della comunità Lgbt.
Il tutto esplicitato attraverso ampi stralci di una nota del portavoce dell’associazione romana, che liquidava la proposta della ministra Teresa Bellanova in merito alla regolarizzazione di circa 600.000 persone immigrate come «un regalo a schiavisti e sfruttatori».
Da qui la reazione delle associazioni (Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Associazione Famiglie Arcobaleno, Associazione Quore, Omphalos Lgbti, Associazione Radicale Certi Diritti, Mixed Lgbti, Arc Cagliari, Antinoo Arcigay Napoli, Alfi – Associazione Lesbica Femminista Italiana, Arco – Associazione Ricreativa Circoli Omosessuali, Coordinamento Torino Pride, Ufficio Nuovi Diritti Cgil Nazionale, Avvocatura per i diritti Lgbti – Rete Lenford, Cassero Lgbti, Pride Vesuvio Rainbow, Esedomani Terni, Arcigay Reggio Emilia, Gruppo migranti Arcigay Reggio Emilia, Pochos Napoli Asd, Mos, Unica Lgbt, Coordinamento Sardegna Pride) attraverso il comunicato Abbiamo una sola voce e sappiamo usarla, di cui ecco il testo: «No, non è vero che la comunità Lgbt+ è contraria alla regolarizzazione delle persone migranti. Non è vero per tante ragioni. Le comunità LGBT+ sono realtà complesse, non riducibili ad un unico portavoce che le rappresenta tutte.
Ogni comunità, ogni organizzazione ha gli strumenti per rappresentarsi da sé e bisogna dare e pretendere rispetto per la nostra autodeterminazione politica. Siamo associazioni impegnate da decenni nella lotta alle discriminazioni e per un Paese più equo e giusto. Siamo persone Lgbt+, migranti e non, che lottano ogni giorno perché nessun* venga lasciat* indietro, perché nessun* sia invisibile, perché la collettività si faccia carico di tutt*.
Da anni le persone migranti, i loro diritti e le loro legittime istanze di cittadinanza, sono al centro del nostro impegno politico. Non riconosciamo nella formale appartenenza ad una comunità nazionale un elemento che possa giustificare disparità di trattamento. Questa è la nostra posizione.
Possiamo criticare le scelte di regolarizzazione delle persone migranti perché motivate da una contingenza produttiva e non dalla convinzione che ogni persona meriti pari diritti e dignità in ogni circostanza, semmai. A prescindere dalla ragione che vi è alla base, però, riteniamo che ogni provvedimento che metta al centro le persone e le libera dall’invisibilità dello sfruttamento sia necessario e da approvare senza tentennamenti. La scusa di negare i diritti alle persone migranti perché questo favorirebbe i trafficanti è sbagliata e inaccettabile politicamente. È la stessa logica che sostiene i vergognosi ostacoli ai salvataggi in mare.
Noi pensiamo che i diritti e la dignità delle persone vengano prima di tutto. Noi chiediamo che questi diritti e questa dignità vengano tutelati perché attributi inalienabili degli esseri umani. Noi abbiamo una voce e sappiamo usarla. Lo abbiamo dimostrato nella nostra storia e continueremo a farlo finché ne avremo le forze. Non abbiamo bisogno di qualcuno che parli al posto nostro».
Ancora più dura la risposta di Lyas Laamari, vicepresidente de Il Grande Colibrì, che in una lunga lettera aperta, intitolata Noi migranti Lgbt ci rappresentiamo da soli, caro Marrazzo, scrive fra l’altro: «La sua visione infantilizzante della comunità migrante Lgbt in Italia la porta a suggerire allo Stato di “premiare i lavoratori più volenterosi nel loro adempimento del loro impegno socialmente utile” quando noi cittadini stranieri, regolari e non, vogliamo avere il diritto di esistere e di esercitare i nostri doveri in modo onesto e trasparente, contribuendo al sistema sanitario e pagando regolarmente i nostri affitti, le nostre cure, le rette scolastiche delle nostre figlie e dei nostri figli. Personalmente non desidero alcun riconoscimento morale o economico per il dovere che sento nei confronti della comunità che mi ha accolto: come molte persone migranti faccio del mio meglio per raggiungere semplicemente equità di trattamento e parità di diritti e doveri.
In definitiva, trovo ridicola la sua riflessione su come combattere il traffico degli scafisti e il caporalato mantenendo il velo dell’irregolarità, costringendo le persone migranti irregolari a una vita di schiavitù e sottomissione in tutti gli ambiti, nonché strumentalizzando le paure delle persone migranti Lgbt e favorendo una visione propagandistica, sia di destra che di sinistra, che non vuole prendersi le proprie responsabilità politiche in materia di immigrazioni».
Sulla questione è infine intervenuto anche Gabriele Piazzoni, segretario generale d’Arcigay, che, senza entrare nello specifico della nota del portavoce del Gay Center (consigliere nazionale di Arcigay), ha lanciato un appello affinché «il Governo non faccia finta di non vedere 600.000 immigrati».