Dopo aver respinto, il 5 aprile, la ratifica della Convenzione d’Istanbul, il Parlamento monocamerale ungherese ha oggi approvato, con 133 voti favorevoli, 57 contrari e quatto astensioni, l’art. 33 della cosiddetta “legge insalata”, che vieta il cambio legale di genere per le persone transgender.
Viene così inserito nel quadro normativo ungherese il dato del “sesso di nascita”, che definisce permanentemente il genere di una persona «sulla base dei caratteri sessuali primari e sui cromosomi». Ciò significa che il dato anagrafico, registrato alla nascita, F (férfi per uomo) o N (Nő per donna), sarà immodificabile al pari del nome assegnato, per cui resterà proscritto quello d’elezione anche in caso di intervento di riassegnazione chirurgica del sesso o terapia ormonale. Un tale divieto ha così formalizzato quanto avviene, in realtà, dal 2018 in Ungheria, dove le persone transgender si sono viste costantemente negare la rettifica dei dati anagrafici con conseguenti numerose cause giudiziarie in corso.
Ma, come avevano già rilevato il 15 aprile i 63 europarlamentari firmatari della lettera al ministro Gergely Gulyás, capo della cancelleria del premier Viktor Orbán, e alla ministra della Giustizia Judit Varga, l’articolo 33 è in aperta violazione non solo delle norme europee in materia di diritti umani e della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma anche della sentenza della Corte costituzionale ungherese che, in data 21 giugno 2018, «ha stabilito che il riconoscimento delle persone transgender e il loro potenziale cambio di nome si riferiscono al diritto fondamentale alla dignità. La sentenza ha riconosciuto che il cambio di nome di una persona è intrinsecamente correlato alla modifica del genere e alle autorità è stato richiesto di stabilire una legislazione che garantisca l’indicazione di entrambi i sessi e il cambio di nome nella registrazione ufficiale senza discriminazioni».
Dure le reazioni di Amnesty International e delle associazioni Lgbti ungheresi, che hanno denunciato l’approvazione dell’art. 33 come «triste e scandalosa». Háttér Társaság ha dichiarato: «Non abbandoneremo la lotta: chiediamo al presidente della Repubblica di inviare la legge per una revisione alla Corte Costituzione».
Nel tardo pomeriggio è intervenuta in una nota l’europarlamentare Laura Ferrara, che, eletta tra le file del M5S, ha scritto non senza qualche confusione tra orientamento sessuale e identità di genere: «Ancora una volta dall’Ungheria di Orbán arriva una legge liberticida. La decisione di vietare la registrazione del cambiamento di sesso nello stato civile nega un diritto che nel 2020 non dovrebbe mai essere messo in discussione. Non è Orbán a dover stabilire l’orientamento sessuale di un cittadino, ma lui stesso in piena libertà e indipendenza. Un Paese dell’Unione europea non dovrebbe mai minacciare l’identità personale dei suoi cittadini. Riteniamo dunque che ci possano essere gli estremi per considerare l’apertura di una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea. Quante altre negazioni di diritti e libertà dovremo d’altronde assistere in Ungheria prima di prendere decisioni dure contro Orbán? L’incapacità del Consiglio di applicare l’articolo 7, così come più volte raccomandato dal Parlamento europeo, compromette l’integrità dei valori comuni europei, la fiducia reciproca e la credibilità dell’Unione nel suo complesso».
Per Yuri Guaiana, presidente dell’Associazione Radicale Certi Diritti, segretario di Lgbti Liberals for Europe e senior campaign manager di All Out «il voto del Parlamento ungherese di oggi a favore del famigerato articolo 33 è una palese violazione del diritto umano fondamentale all’autodeterminazione delle persone trans e intersex, che contraddice persino una sentenza della stessa Corte costituzionale ungherese, oltre una della Corte europea dei Diritti umani e, più in generale, gli standard internazionali sui diritti umani. Occorre sostenere in tutti i modi le attiviste e gli attivisti ungheresi nelle loro richieste al Presidente della Repubblica di non firmare la legge e rinviarla alla Corte Costituzionale, nonché alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di condannare il Governo ungherese per questa azione e di utilizzare tutti gli strumenti possibili per proteggere i diritti fondamentali dei cittadini ungheresi trans e intersessuali».