L’amore può essere a volte una ferita, che si riapre ogniqualvolta è in procinto di cicatrizzarsi. Non tutti gli amori, s’intende. Sicuramente lo è quello provato per il suo paese natale da Lido Pimienta, musicista di origini colombiane di stanza in Canada, dove nel 2017 le è stato conferito il Polaris Music Prize per il suo precedente album La Papessa.
Nel nuovo lavoro Miss Colombia, se da un lato, insieme a un uso sapiente di elettronica degno della migliore Björk, ritroviamo ripetutamente i frutti di quell’amore attraverso un desiderio di mostrarci i suoni più veri, a volte più sporchi, registrati per le vie dei piccoli centri del Paese natale senza alcuna raffinatura, come farebbe una figlia orgogliosa della propria madre, dall’altro nelle liriche esplodono le conflittualità, la rabbia, la disillusione nel constatare che, per quanto forte sia l’amore, un’accettazione reciproca e una convivenza sono impossibili. Uno ad uno, come quando si è ad una definitiva resa dei conti, Lido Pimienta spiattella alla madre Colombia il perchè ha dovuto lasciarla, il perchè le è stato impossibile viverle accanto. Il perché è dovuta fuggire in Canada, dove il suo status di donna queer, madre monoparentale, femminista intersezionale, artista a tutto tondo, è stato accettato a tal punto da ottenere il maggior riconoscimento della critica musicale di un Paese anglo/francofono per lei che si esprime nella sua lingua madre.
Il j’accuse più forte è già nel titolo: Miss Colombia. Fa riferimento a un curioso fatto accaduto all’elezione del 2015 di Miss Universo. In quell’occasione il presentatore nell’annunciare la vincitrice decretò il successo di Miss Colombia, salvo poi dover tornare sui suoi passi per incoronare Miss Filippine. Quello che sarebbe dovuto essere un buffo episodio da rotocalco gossip, assurse in Colombia una rilevanza mediatica tale da oscurare ogni altro tema riguardante i problemi (e sono tanti) che affliggono il Paese. Per mesi, gridando al complotto, sulla stampa nazionale non si parlò d’altro. Il Paese si dimenticò dei suoi cancri e convogliò la propria attenzione esclusivamente sull’ipotetico torto subito.
Nel percorso in cui ci accompagna Lido Pimienta i cancri li eviscera tutti: intolleranza, machismo, corruzione, violenza di genere. Nulla manca al campionario. Eppure, mai manca il rimpianto per la Colombia che avrebbe potuto essere e che non è, che ci viene mostrata nell’elaborare musiche che attingono alla cultura indigena e afrocolombiana sapientemente miscelate con un uso dell’elettronica scevro di qualunque eccesso.
Nella seconda parte del disco la musica si fa davvero forza e dolore. Rimangono solo voci e percussioni senza alcuna edulcorazione, quasi a lasciarci intravedere quanto l’addio abbia lacerato l’anima. Il dolore dell’impossibilità dell’essere accettata, e quindi amarsi per ciò che si è, si alza come polvere, come quando per le strade di San Basilio de Palenque, insieme al Sexteto Tabalá, un canto ruvido tra percussioni sporche ci trascina in una sorta di rito di liberazione dell’anima. Un canto volutamente registrato in presa diretta in mezzo alla strada: quasi a lasciare un’istantanea indimenticabile di ciò da cui ci si sta separando per sempre.
Miss Colombia pur facendo suoi i colorati ritmi caraibici è un disco sul distacco. Attraverso il suo caleidoscopico abito da copertina, che Lido Pimienta definisce un abito da sposa queer, l’artista ci racconta invece di una separazione, dell’impossibilità di amarsi e di come e quali colori sia riuscita a mettere nella valigia per costruire la sua via di fuga in Canada. Un gran disco, più di un disco.