Pochi giorni prima dell’inizio del lockdown la casa editrice Piemme ha pubblicato un nuovo romanzo di Luigi La Rosa, L’uomo senza inverno, dedicato alla figura di Gustave Caillebotte, versatilissimo genio della Parigi impressionista, incomprensibilmente dimenticato e trascurato dalla narrazione critica consuetudinaria, probabilmente anche a causa del suo sguardo pittorico, manifestamente omosessuale.
Il romanzo di La Rosa segue la tecnica propria della non-fiction novel, in cui il racconto è fusione raffinatissima di realtà e creatività. Tecnica che, in Italia, ha recentemente raggiunto esiti apprezzabilissimi con i romanzi di Franco Buffoni o Giancarlo De Cataldo. L’uomo senza inverno a cui allude l’autore, messinese di nascita ma parigino d’adozione, è appunto il gallerista, mecenate e artista Caillebotte, morto a soli 46 anni, prima che sopraggiungesse, dunque, l’inverno della propria maturità.
Nel romanzo Luigi La Rosa cerca di restituire al pittore francese quell’importanza e quella “modernità” che, per anni, gli è stata incomprensibilmente negata, sia per la sua evidente asistematicità tecnica, sia per i soggetti rappresentati che sono assai distanti da quelli tradizionali e che tradiscono uno sguardo nuovo, disinvolto e sensuale, particolarmente attento alla plasticità e alla muscolarità dei corpi maschili.
Per saperne di più su questo romanzo-affresco della società francese di fine ‘800, contattiamo telefonicamente Luigi La Rosa durante un suo prolungato soggiorno catanese, città che ama per la sua natura tellurica e viscerale.
Il suo romanzo ripercorre la vita e la carriera artistica di Gustave Caillebotte. Quali sono gli aspetti più sorprendenti della personalità di questo artista, poco valorizzato in passato, ma centrale per la comprensione dell’Impressionismo francese? Quali sono le ragioni dell’asistematicità di Caillebotte rispetto alla società dei suoi tempi?
Le ragioni della sua asistematicità rispetto agli schemi del suo tempo sono le stesse della sua grande solitudine, del suo sentirsi “fuori posto”, dell’essere un artista profondamente originale ma alternativo, un pittore che ha rotto gli schemi della tradizione affermando con coraggio, e prima di ogni altra cosa, gli imperativi struggenti della passione e del desiderio sensuale.
Nel suo romanzo un aspetto centrale è l’omosessualità di Caillebotte. Come visse l’impressionista francese il suo orientamento sessuale e affettivo? Che peso ha avuto nella considerazione critica della sua opera, solo recentemente rivalutata?
L’omosessualità di Gustave Caillebotte è ancora un grande tabù, possiamo dirlo. Storici, studiosi, critici si fermano tutti davanti a una sostanziale ambiguità, che impedisce loro la profondità dello sguardo e la limpidezza del pensiero. Da romanziere ho cercato di andare oltre questo schema fastidioso, oltre il pregiudizio, oltre il non detto, interrogando essenzialmente l’uomo, le sue verità, e soprattutto il suo desiderio omoerotico, il suo orientamento sessuale, irrinunciabile per comprenderne l’opera e i meravigliosi dipinti.
La figura maschile è l’elemento cardine nella pittura di Caillebotte. Cosa ha scoperto, lavorando alla stesura di questo romanzo, circa il rapporto tra Caillebotte e i suoi modelli? Che ruolo gioca il desiderio nella sua realizzazione artistica?
Sicuramente, è così. Gli uomini – ragazzi muscolosi, sportivi, vogatori, ma anche piallatori di parquet, giardinieri, imbianchini, giovani tuffatori – costituiscono un mondo immaginario ed emotivo, una dimensione dello spirito, un paesaggio interiore, spirituale, psichico. Gustave ha attinto a questo enorme serbatoio di suggestioni, per non parlare dei suoi nudi, nei quali la passione diviene fisica, tangibile, filigrana e grumo di colore. Tutto questo non poteva non scandalizzare una società perbenista come quella francese della sua epoca: non dimentichiamo cosa accadrà alla relazione tra Verlaine e Rimbaud, quante difficoltà i due incontreranno sul loro cammino. Ebbene, tutto questo è stato il motore che ha ispirato il romanzo, divenendone il pensiero centrale e l’anima.
Ci illustra almeno un dipinto di Caillebotte che, a suo parere, tradisce il desiderio omosessuale e l’apprezzamento per la bellezza maschile?
Sceglierei i “Raboteurs de parquet”, l’immagine sublime di questi tre piallatori nudi dalla cintola in su, raccontati nel momento della fatica ma pure di una segreta complicità. I tre si sussurrano qualcosa – qualcosa che immagineremo eternamente di sentire -, forse un messaggio segreto, forse una battuta divertente, o forse anche un sentimento inconfessato, e lo fanno riversi in terra, con le schiene tornite e pervase dalla luce del pomeriggio, in una camera parigina che somiglia a una quinta teatrale. La quinta nella quale va in scena il desiderio omoerotico di Gustave Caillebotte.
Lei, romanziere italiano, grande conoscitore della cultura francese e cittadino parigino, come sei stato accolto dagli studiosi d’arte francesi durante il lavoro su Caillebotte?
Contattando il “Museo Caillebotte” di Yerres e i vari centri culturali che si sono occupati dell’artista ho avuto la massima accoglienza e disponibilità. Naturalmente, il romanzo non è ancora uscito in Francia e non so come reagiranno gli studiosi o quanti apprezzano il grande Gustave. Ma io credo che le battaglie, soprattutto quelle intellettuali, vadano fatte malgrado tutto e tutti, affermando con coraggio la propria visione, la propria idea delle cose e del mondo. Ed è quello che ho cercato di fare, restituendo giustizia e visione a un uomo generoso, artista e mecenate, un genio immenso, ingiustamente dimenticato.