Con 48 voti favorevoli e 24 contrari la Camera bassa del Parlamento del Gabon ha ieri deciso l’abrogazione della cosiddetta legge anti-gay, che, adottata il 5 giugno 2019, punisce fino a sei mesi di prigione e con sanzioni pecuniarie i rapporti tra due persone di sesso maschile.
Se anche il Senato dovesse esprimersi favorevolmente e il presidente Ali Bongo Ondimba autorizzasse, dunque, l’abrogazione della normativa, scenderebbe a 27 (su 49 complessivi) il numero dei paesi dell’Africa sub-sahariana, che vietano e puniscono con la pena carceraria fino all’ergastolo i rapporti tra persone dello stesso sesso. Senza dimenticare che in Sudan e in alcune province della Somalia e della Nigeria è comminata per tale reato la pena di morte.
Negli ultimi anni Angola, Mozambico, Seychelles e Botswana (quest’ultimo l’11 giugno dello scorso anno) hanno depenalizzato i rapporti tra persone dello stesso sesso, unendosi così a quanto precedente fatto in Gabon, Costa d’Avorio, Mali, Repubblica Democratica del Congo e Lesotho.
Nessun passo in avanti, invece, in Gambia, dove i rapporti tra persone dello stesso sesso sono qualificati dalla Sezione 144 del Codice penale quali «reati innaturali» e puniti con 14 anni di carcere. Ebrima Sankareh, portavoce del Governo, ha ieri smentito come infondate e falsa propaganda le voci di un progetto di depenalizzazione dell’omosessualità o alleggerimento delle pene previste. Il rappresentante dell’esecutivo, guidato dal presidente Adama Barrow, ha ribadito che a guidare il governo sono «le volontà del popolo» e che, al momento, l’idea di introdurre modifiche alla norma penale vigente non è assolutamente contemplata.
A dare il via alle illazioni un tweet lanciato il 17 maggio, in occasione della Giornata mondiale contro l’omo-lesbo-bi-transfobia, dalla delegazione Ue in Gambia, che aveva invitato a non discriminare le persone Lgbt+. Ne erano subito seguite le reazioni violente di leader religiosi e autorità locali, che avevano letto il tweet come un’indebita ingerenza nella politica interna del Paese e un ricatto su una possibile diminuzione degli aiuti europei in assenza di aperture sui diritti delle persone Lgbt+.