Glasgow, Colonia, Vienna e Budapest. Partendo da Roma. Il progetto Outsport di Gaycs e Aics, per combattere le discriminazioni omo-transfobiche e di genere nello sport, entra nel vivo con la recente Training of Trainers, l’elaborazione di “nuovi strumenti educativi per chi opera in ambito sportivo”.
Ne abbiamo parlato con il coordinatore Rosario Coco.
Ci spieghi cosa è Outsport?
Outsport è un progetto europeo cofinanziato dal programma Erasmus+ della Commissione Europea e promosso da Aics (Associazione italiana cultura sport) e da Gaycs, il dipartimento Lgbt che ha lavorato per diversi anni alla progettazione dell’iniziativa. Coinvolge cinque Paesi: oltre all’Italia abbiamo la Scozia, la Germania, l’Austria e l’Ungheria.
Le parole chiave di Outsport sono tre: ricerca, formazione, sensibilizzazione. Il principale obiettivo è studiare le discriminazioni all’interno dello sport per far diventare lo sport stesso uno strumento di inclusione.
Secondo la Fra (European Union Agency for Fundamental Rights) circa il 50% delle persone Lgbt intervistate (90.000 in tutta Europa) evita determinati spazi sociali “per paura di aggressioni, molestie o minacce dovute al proprio essere lgbti”. Ebbene, nel 42% dei casi, questi spazi sono associazioni sportive (sport club). Seppur molto grave, questo è l’unico dato europeo sul tema. Un’altra informazione ci arriva invece dallo studio australiano “Out of the field”, il primo al mondo relativo alla popolazione di Uk, Stati Uniti e Australia, secondo il quale almeno il 50% delle persone gay e lesbiche hanno subito molestie fisiche e verbali nello sport.
Il nostro obiettivo è prima di tutto migliorare la conoscenza del fenomeno, partendo dal presupposto che anche moltissime persone eterosessuali sono state colpite da insulti e disciminazioni omo-transfobiche e dal fatto che il fenomeno sia strettamente connesso al tema del sessismo. Per questo, Outsport promuove la prima ricerca scientifica organica dedicata al fenomeno, affidata all’interno del partenariato alla German Sport University di Colonia, ricerca che verrà ultimata nel novembre 2018.
Qual è stato l’ultimo evento importante?
Dopo la presentazione del progetto lo scorso luglio alla Camera dei Deputati e l’evento rivolto al grande pubblico nella cornice del Gay Village, dal 5 al 9 ottobre scorsi, si è tenuta la International Training of Trainers. Un gruppo di 12 formatori e formatrici è stato selezionato dalle realtà partner: Aics (Italia), Leap (Scozia), Vidc Austria), Frigo Ungheria).
È stata messa a punto una nuova metodologia basata sull’educazione non formale attraverso lo sport (Ets) per offrire nuovi strumenti educativi per chi opera in ambito sportivo: dagli atleti e agli allenatori, fino alle istituzioni sportive. È la prima volta che questo metodo viene applicato alle tematiche lgbti. Gli esercizi Ets permettono di lavorare sull’esperienza diretta, sulle attitudini e sulle capacità, che si affiancano alle conoscenze di base nel quadro delle competenze. L’obiettivo è quello di sviluppare ambienti sportivi sicuri in cui ognuno possa sentirsi pienamente rispettato a prescindere dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.
Questo corso è un concreto passo avanti per fare dello sport stesso uno strumento educativo per contrastare questo genere ti discriminazioni nella società e punta a sviluppare nuovi progetti a livello nazionale.
Ma è davvero una priorità lo sport nell’agenda Lgbt?
Lo sport è uno spazio educativo, che lo si voglia oppure no. Pensiamo all’impatto educativo sulle giovani generazioni del nuovo contratto di Neymar. Non esattamente ai soldi. Ma alla clausola per cui può utilizzare il borsone con il proprio logo ad esempio. È autorizzato ad essere diverso in sostanza, anzi superiore. Per fortuna lo sport professionistico inizia a proporre anche esempi positivi, come la campagna dell’UEFA Equal Game.
La sfida che sia apre se consideriamo lo sport di base, i campi di periferia e tutto l’indotto di comunicazione e immaginario collettivo che ruota intorno allo sport è gigantesca. Dopo le unioni civili, il movimento è indubbiamente chiamato a un salto di qualità verso una battaglia sempre più universale, che reinterpreti l’elemento identitario e riesca a far capire al grande pubblico che i temi arcobaleno non riguardano solo “i gay” ma i diritti umani e la libertà di ciascuno e ciascuna.
In questo scenario, lavorare sullo sport come spazio educativo che si affianca alla scuola, come terreno di sensibilizzazione, come fenomeno di studio, diventa certamente una priorità. L’approccio della ricerca e del progetto Outsport in generale è trasversale: non ci occupiamo solo delle persone lgbti che fanno sport, bensì affrontiamo l’omo-transfobia considerandola un sistema di pregiudizi che investe l’intera comunità, dentro e fuori lo sport.
Nei campi di calcio, ad esempio, è molto facile sentire “frocio” usato come insulto anche verso persone etero o “maschiaccio”, usato verso una ragazza che gioca semplicemente in modo ritenuto “maschile”. Per lo stesso motivo, il nostro approccio al tema ritiene indispensabile lavorare insieme tanto sull’omo-transfobia quanto sul tema del maschilismo, che è il principale pilastro culturale dei luoghi comuni che affrontiamo.
Se chiediamo al bullo di turno cosa voglia dire con “frocio”, molto probabilmente ci risponderà “femminuccia”, “checca”. Specularmente, il “il maschiaccio” riferito alle donne, è un insulto che viene da chi percepisce “improprio” e “presuntuoso” che una donna che si comporti o sembri un maschio.
Quali sono i prossimi obiettivi?
In questi giorni siamo alla conferenza di Ilga Europe, un’occasione per imparare e creare una collaborazione con il principale network lgbti al mondo. L’obiettivo è quello di realizzare nuovi progetti che possano portare avanti i risultati del progetto, ad esempio la realizzazione di corsi di formazione su scala nazionale o l’estensione della ricerca che si concluderà nel 2018 anche ad altri Paesi. Infine, grazie a Gaycs, l’Italia ospiterà nel 2019 i prossimi Eurogames, l’evento sportivo lgbt riconosciuto a livello europeo dalla Eglsf (European Gay and Lesbian Sport Association), un’iniziativa alla quale sto collaborando insieme al presidente di Gaycs Adriano Bartolucci Proietti. Il progetto Outsport servirà anche per arrivare pronti a questo appuntamento con importanti contenuti e spunti di lavoro da offrire ai e alle partecipanti.
Cosa ti aspetti dal mondo associativo?
Nel 2019, Roma ospiterà l’importante evento degli Eurogames, i giochi europei dedicati alla lotta contro l’omofobia. Spero che in questo lasso di tempo le associazioni lgbti possano maturare al proprio interno la consapevolezza di questa battaglia e comprenderne fino in fondo le potenzialità. Credo che lo sport possa essere per il movimento anche uno strumento per recuperare il contatto con la propria base, non solo con le persone lgbti, ma anche con tutte e tutti coloro che sostengono la nostra causa e che per una serie di motivi si sono allontanati dalle attività dell’associazionismo.
E dalla politica?
A livello europeo, è stato appena varato il Piano Europeo per lo Sport 2017-2020. Come negli anni precedenti, tra gli le priorità relative all’inclusione e all’integrazione sociale è stato inserito il tema della gender equality, ma non delle sexual orientation and gender identity discrimination. Con la propria azione, Outsport vuole contribuire in questa direzione. Si badi bene, che tale conquista avrebbe un impatto anche sulla causa dei diritti delle donne, proprio perché il tema della gender equality, pur concentrandosi sulla presenza delle donne nello sport, non implica direttamente il contrasto dei pregiudizi di genere.
I concetti di sexual orientation e gender identity, specie in un approccio trasversale, impongono invece azioni di portata culturale indubbiamente più ampia.
Per quanto riguarda l’Italia, la questione è legata indubbiamente al ruolo che le istituzioni scolastiche riusciranno ad avere. Il Coni ha approvato nel 2016 nel proprio regolamento la condanna delle discriminazioni omofobiche, ma sappiamo bene che si tratta di un principio che per ora rimane sostanzialmente sulla carta. Pochi giorni fa, il Miur ha finalmente emanato le linee guida del famoso comma 16 dell’articolo 1 de “La Buona Scuola”, quello che diede vita al polemica sul “gender” nelle scuole. Purtroppo, la parola “omofobia” non esiste e nello spot del Miur si omettono le discriminazioni per orientamento sessuale. Dopo tre anni dobbiamo accontentarci di un generico “contrasto di tutte le discriminazioni”, come se si trattasse di una piccola minoranza linguistica. E’ anche per questo che è necessario per il movimento quel salto di qualità in senso trasversale e universalistico di cui parlavo prima.