Domani in Commissione Giustizia della Camera terminerà la discussione generale sul testo unificato del disegno di legge in materia di contrasto e prevenzione alle discriminazioni e violenze per sesso, orientamento sessuale, genere e identità di genere, di cui è relatore Alessandro Zan (Pd). A fine seduta avrà luogo la votazione per l’adozione di esso quale testo base.
Abbiamo cercato di fare il punto della situazione con Francesca Romana Guarnieri, avvocata esperta in diritto antidiscriminatorio e socia di Rete Lenford.
Il 30 giugno è stato depositato il testo unificato del dl contro l’omotransfobia e la misoginia, che domani dovrebbe essere adottato come testo base. Quale la sua valutazione?
La mia valutazione è assolutamente positiva: la repressione dei fenomeni riconducibili all’odio omo-lesbo-bi-trans-fobico attraverso lo strumento penalistico è quanto mai opportuna, oltre che sollecitata dal Consiglio dei ministri nell’ambito del Consiglio d’Europa (con la raccomandazione n. 5 del 2010) e dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (con la raccomandazione n. 15 del 2015). Normative penali di contrasto ai discorsi d’odio omofobi e transfobici sono, infatti, state introdotte nella maggior parte dei sistemi giuridici democratici.
Una delle principali obiezioni mosse è quella di una tutela penale già esistente per le persone Lgbti. La legge sarebbe dunque non necessaria?
Quest’affermazione non mi pare possa avere alcun fondamento: sin dalla XV legislatura abbiamo assistito a tentativi di prevedere norme di contrasto alle discriminazioni omo-lesbo-bi-trans-fobiche (sia attraverso l’introduzione di una specifica aggravante sia attraverso l’indicazione di un autonomo fattore di rischio) ma essi si sono tutti rivelati infruttuosi. Molti Stati europei hanno modificato le rispettive normative penali nazionali con la previsione di idonei strumenti di lotta alla omo-lesbo-bi-trans-fobia, istituendo il reato di discriminazione o introducendo il movente omofobo quale circostanza aggravante per determinati reati. L’Italia aspetta da decenni l’introduzione di una tutela di questo tipo: ritengo davvero auspicabile che questa proposta di legge venga approvata.
È vero che il ddl non prevede l’estensione della Mancino in riferimento alla fattispecie della propaganda delle idee. Ma non crede che nell’istigazione all’odio possano comunque ricadere quelle che vengono indicate come opinioni?
Sulla compatibilità delle norme contenute nella proposta di legge Zan con il principio della libera manifestazione del pensiero bisogna innanzitutto rilevare che se i dubbi di costituzionalità avessero qualche tipo di fondamento essi non potrebbero che riguardare anche le norme già in vigore, che puniscono i reati d’odio per motivi raziali, etnici, nazionali o religiosi. La giurisprudenza ha, invece, già avuto modo di dichiarare la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale di quelle disposizioni, affermando che il diritto di manifestare il proprio pensiero incontra alcuni limiti nel caso in cui esso si ponga in contrasto con il principio di pari dignità di tutti i cittadini di cui all’art. 3 Cost.. La repressione dei c.d. hate speech appare, quindi, del tutto compatibile con il principio di libertà di espressione. In ogni caso, queste norme comprimono legittimamente il principio di libera manifestazione del pensiero in caso di incitazione all’odio, di espressioni ingiuriose con una connotazione discriminatoria, e non certo in caso di opinioni. Ad esempio, l’affermazione, successivamente alla eventuale ed auspicata approvazione della proposta di legge, della propria contrarietà alle adozioni da parte di coppie omosessuali continuerà ad essere fuori dall’ambito di applicazione della norma.
Lei è una delle firmatarie dell’appello delle femministe a favore della legge. Perché si è reso necessario un tale testo e l’identità di genere è davvero un pericolo per le donne?
La scelta dei firmatari della proposta di legge di equiparare una serie di caratteristiche personali delle vittime, che stanno alla base di fenomeni discriminatori (i c.d. fattori di rischio: razza, origine etnica, nazionalità, religione, sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere), mi sembra che sia conseguenza della radice comune di tali fenomeni. Proprio per questo ritengo che, qualora la legge non prevedesse l’estensione della norma anche alla misoginia, resterebbe un vuoto normativo nel nostro ordinamento che priverebbe di copertura alcuni fenomeni d’odio dal punto di vista della repressione penale.
Quanto alla nozione di “identità di genere”, che ha diviso il mondo femminista, essa si riferisce alla percezione individuale di appartenenza ad un genere, che può essere o meno legato al sesso attribuito alla nascita. Bisogna innanzitutto premettere che questa espressione non appare nel nostro ordinamento con la proposta di legge Zan: essa è contenuta, ad esempio, nella Convenzione di Istanbul, che l’Italia ha recentemente ratificato, nonché nella nota sentenza n. 221/15 con cui la Corte Costituzionale ha riconosciuto il diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale. Anche la Direttiva Ue 2011/95 UE, sull’attribuzione della qualifica di rifugiato, recepita nel d.lgs. 18/2014, fa espressamente riferimento al concetto di identità di genere, nel trattare gli aspetti che possono costituire motivi di persecuzione; il riconoscimento giuridico di questa categoria semantica è perciò già ampiamente avvenuto.
L’idea di “identità di genere”, che valorizza la fluidità delle appartenenze, coesiste e non si pone in contrasto con quella di “sesso”, che mette invece in primo piano la dimensione biologica. In ogni caso, l’introduzione di questa nozione nella proposta di legge riguarda le modalità con cui gli autori delle condotte definiscono le vittime d’odio e non invece come le stesse si qualificano: l’idea è, cioè, quella di rendere il ventaglio di tutele il più ampio possibile.