Nel giorno in cui la Polonia entra tecnicamente per la prima volta in recessione dalla caduta del regime comunista (vera tegola per il premier Jarosław Aleksander Kaczyński, che si era fatto forte, lo scorso anno, in campagna elettorale del benessere economico del Paese) e ricorda il 40° anniversario dello scoppio degli scioperi nei cantieri navali Lenin di Danzica, che avrebbero visto Lech Wałęsa diventare uno dei leader della protesta e portato, nel settembre successivo, alla costituzione di Solidarność (il primo sindacato unitario e libero non solo della Polonia ma anche dell’allora blocco sovietico), non cessano le prese di posizioni autorevoli su quanto successo a Varsavia il 7 agosto.
Oggi, infatti, Unaids, l’agenzia della Nazioni Unite con sede a Ginevra che coordina l’azione globale contro l’Aids/Hiv, ha espresso preoccupazione per «la continua e crescente persecuzione delle persone Lgbti in Polonia, compresi l’incoraggiamento delle cosiddette zone Lgbti-free in tutto il Paese nell’ultimo anno e la recente montante repressione di difensori dei diritti umani che si battono per sostenere la fine della discriminazione».
Unaids ha parlato anche di «segnalazioni di attacchi e arresti di attivisti Lgbti mentre esercitano pacificamente i loro diritti alla libertà di espressione e associazione, segnalazioni di discriminazione e repressione delle persone Lgbti», con riferimento esplicito alle «violenze della polizia» di venerdì 7 agosto a seguito della carcerazione preventiva di Margot Szutowicz, attivista non binary che utilizza pronomi femminili.
Nel comunicato stampa Unaids ha anche ricordato una dichiarazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2016, secondo la quale la discriminazione è dannosa per la salute e il benessere delle persone, compreso il loro accesso alla prevenzione e al trattamento dell’Hiv.
«Le azioni in Polonia – si conclude – limitano la libertà di espressione e, se associate a un’applicazione discriminatoria nei confronti dei difensori dei diritti umani, minano l’uguaglianza, lo stato di diritto e l’accesso delle persone ai servizi essenziali».
E sempre oggi Internazionale ha pubblicato col titolo semplificativo Un appello contro la violenza di genere in Polonia la richiesta d’un collettivo di 32 intellettuali e artisti/e (tra cui Wojciech Pus, Paul B. Preciado, Judith Butler, Virginie Despentes, Toni Negri) per chiedere la liberazione di Margot.
Pubblicato l’11 agosto sul giornale online francese d’informazione indipendente Mediapart col titolo Démocratie sexuelle et de genre en danger en Pologne: libérez Margot! (Democrazia sessuale e di genere in pericolo in Polonia: liberate Margot!, ndr), l’appello internazionale «è anche una denuncia della svolta autoritaria del governo polacco e della violenza misogina, omofoba, transfobica e razzista ormai radicata nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine in Polonia – si legge nel testo –. Il paese ha una lunga tradizione di persecuzioni nei confronti delle minoranze: ebrei, rom, migranti, omosessuali, transessuali e individui non bianchi sono stati criminalizzati e violentemente stigmatizzati ricorrendo a una serie di leggi approvate dalle autorità in diversi momenti della storia recente della Polonia.
Tra il 1985 e il 1987 il Partito comunista polacco ha condotto la cosiddetta operazione Giacinto, una grande campagna di propaganda omofoba abbinata a un’operazione delle polizia segreta per ricattare e perseguitare gli omosessuali, le persone sieropositive e i lavoratori e le lavoratrici del sesso. Nonostante quella persecuzione fosse stata criticata da intellettuali e da attivisti, l’operazione fu ritenuta “legale” in base alle leggi del paese sotto il regime comunista. Negli ultimi due anni è stata lanciata un’altra campagna “legale” contro le minoranze sessuali. Ora questa campagna è stata intensificata dal presidente Andrzej Duda con la complicità del primo ministro Mateusz Morawiecki e del viceministro della giustizia Sebastian Kaleta».
L’appello si conclude con l’osservazione che «il comunismo autoritario e il neoliberalismo autoritario mirano entrambi a imporre l’idea secondo cui il corpo eterosessuale purificato e normalizzato è il cittadino sovrano del paese. La democrazia finisce quando le istituzioni sono utilizzate per riscrivere le relazioni di potere, quando la legge giustifica la violenza razziale, sessuale o di genere e quando la difesa “dell’infanzia” o dei monumenti viene strumentalizzata per discriminare gli organismi non eterosessuali e non binari. Si devono difendere minori e adulti queer, trans e non binary. Questo è un appello rivolto a tutte le forze internazionali libere: agite adesso contro la violenza dei governi, delle istituzioni e delle forze di polizia nei cosiddetti stati “democratici” occidentali. Forza e amore per Margot e per tutte le persone manifestanti arrestate».