È morto ieri a Treviso, all’età di 91 anni, uno degli intellettuali omosessuali più controversi e problematici del XX° secolo: il poeta e regista Nico Naldini, friulano di nascita, trevigiano d’adozione e cugino di Pier Paolo Pasolini.
Tra i suoi interessi letterari la poesia friulana – ma anche quella in veneto e in italiano – e il lavoro di recupero dell’opera e della biografia di Pasolini (Poesie e pagine ritrovate di Pasolini, curato nel 1980 con Andrea Zanzotto), la biografia di Giovanni Comisso (Vita di Giovanni Comisso, finalista del Premio Strega nel 1986) e quello di Filippo De Pisis (De Pisis, vita solitaria di un poeta pittore, pubblicato nel 1990). Uno dei suoi ultimi lavori editoriali, Come non ci si difende dai ricordi, uscito per Cargo nel 2005, è un volume autobiografico incardinato sull’intreccio tra i propri ricordi e frammenti di vita condivisi con il cugino Pasolini.
La problematicità della sua dimensione omosessuale stava nel modo in cui si rapportava alla memoria storica del movimento e alle istanze rivendicative con le quali era in dichiarato e palese contrasto, nonostante non avesse fatto mai mistero del proprio orientamento sessuale. In un’intervista rilasciata alla Tribuna di Treviso nel 2007, ad esempio, facendo riferimento alle manifestazioni finalizzate al riconoscimento dei diritti delle persone Lgbt+ come il Pride, affermava: «Ci troviamo di fronte a manifestazioni esagitate, ad affettazioni esagitate che non possono piacere perché sono dei fenomeni in cui ciò che prevale è la vergogna di se stessi, camuffata da teatralità con le penne di struzzo a coprire il culo».
Nella stessa intervista, inoltre, confessando la propria «noia aggressiva» nei confronti del dibattito politico sulle unioni tra persone dello stesso sesso – nel 2007, prima del dibattito sulle unioni civili, si rifletteva su forme come i Pacs e i Dico – aggiungeva: «Già un uomo e una donna, che sono fatti naturalmente per penetrarsi in un modo e con scopi che la natura ha definito, difficilmente reggono il loro rapporto nel tempo. A maggior ragione lo ritengo impossibile per una coppia omosessuale».
Luca Baldoni, poeta e saggista, nell’introduzione al suo volume Le parole tra gli uomini. Antologia di poesia gay italiana dal Novecento ad oggi (Robin, 2012), a proposito di Naldini scrive: «Ci troviamo in definitiva di fronte a un dato paradossale: la distanza, quando non aperta avversione, di alcuni degli esponenti più importanti del canone della poesia omoerotica italiana (Bona, Pasolini, Naldini, Bellezza) verso l’omosessualità contemporanea, verso tutto ciò che a livello di identità del singolo, di tipo di rapporti interpersonali, di produzione culturale e politica, identifichiamo con la parola gay. Ciò rende la fruizione della nostra tradizione ardua, in quanto non riconducibile a un movimento unitario, o perlomeno maggioritario».
Insomma, come lo stesso Baldoni nota in un articolo del 2011, nonostante il desiderio omosessuale sia più volte protagonista della poesia di Naldini, sia nella produzione iniziale in dialetto degli anni ’40 e ’50 sia nella produzione inaugurata a metà anni ‘90 dal volume Meglio gli antichi castighi, l’intellettuale ha sempre accompagnato il recupero memoriale, anche in versi, con un atteggiamento critico e polemico, diremmo quasi di rifiuto, nei confronti delle temperature rivendicative della contemporaneità, convinto del fatto che il processo di emancipazione avesse sostanzialmente inibito una più libera e gioiosa sensualità, quella che si poteva vivere, di nascosto e in segreto, tra orinatoi e parcheggi, anche con gli eterosessuali, fino agli anni ’50 e ’60. Non a caso, negli ultimi volumi di versi, Naldini, che spesso trascorreva lunghi periodi in Tunisia, vagheggia esclusivamente amori magrebini.
Di seguito, per ricordare la scomparsa del poeta, pubblichiamo due componimenti a tematica apertamente omosessuale.
L’AMICO DI LUCA, XXVIII
Un pugno di mosche, ecco cos’è la vita,
un pugno di mosche.
Dopo sette lustri tornai a Berlino,
ma che polvere e che malinconia
su tutta l’Europa.
Di sera non uscivo
e mi rimboccavo da solo le coperte
anche per evitare lo spiffero dei ricordi.
Tossivo, un po’ per la vecchiaia
un po’ per delusione.
A parte la turba dei moribondi dello Zoobahn
non c’erano più ragazzi per strada o nei caffè,
qualcuno sfrecciava nella pista ciclabile
così in fretta da non poterlo guardare.
C’erano delle marchette uguali in tutto il mondo
come anche i froci legittimati
hanno ottenuto di starsene tra loro,
indisturbati, purché sempre tra loro,
fuori dal mondo che proprio non li vuole.
A Toronto c’è addirittura un quartiere per loro
che credono di aver trionfato sui filistei
e non sanno quale martirio stanno vivendo.
Meglio gli antichi castighi.
(da “Meglio gli antichi castighi”, 1997)
Come frutti che rabbrividiscono
sull’albero della vita
i ragazzi improvvisano a spogliarsi.
Un braccio si allunga
fuori dalla canottiera e
solo un guizzo è apparso.
Maglie e magliette si ammucchiano
nei colori di un’aiuola
con un po’ di afa muschiosa.
Le nike debitamente allontanate
sembrano la réclame, un clic
di migrazioni sotto il sole.
Ci vorrebbe una polverina…
No, non deodoriamoli i piedi dei ragazzi:
li graffierà la sabbia,
al ritmo delle onde
scivoleranno nei turbini del golfo
e un giorno scopriremo
disegnato dall’energia
che comanda il moto,
il dito medio sopravanzare l’alluce:
come nel David, come in Mirone!
(da “Piccolo romanzo magrebino”, 2002)