Stefano Gabbana annuncia il lancio di una nuova t-shirt prodotta dal suo marchio con la frase I am a man, I am not a gay. La ragione che ha spinto Gabbana a una tale decisione è stata così spiegata: «La parola gay è stata inventata da chi ha bisogno di etichettare e io non voglio essere identificato in base alle mie scelte sessuali». «Sono un maschio – ha aggiunto Gabbana – il resto non conta».
La t-shirt promessa dallo stilista gay Stefano Gabbana, dunque, recherà in maniera inequivocabile la scritta Io sono un uomo, non sono gay.
Qualcuno probabilmente potrebbe pensare che dietro questa rivendicazione d’umanità emerge la voglia di spazzare via presunte “etichette” e conseguenti discriminazioni.
In realtà, dietro dichiarazioni del genere, scorgiamo piuttosto una dose massiccia di omofobia interiorizzata e l’assoluta mancanza di consapevolezza e responsabilità di chi, come Stefano Gabbana, vive la propria omosessualità in una situazione di agio e privilegio.
Infatti, quello che Gabbana vuole spazzare via non sono le discriminazioni ma, al contrario, il senso di orgoglio e d’appartenenza che, con fatica e coraggio, la comunità Lgbti si è costruita e si sta costruendo negli ultimi anni.
L’indifferenziazione, a cui aspira lo stilista, non ha nulla a che fare con la libertà ma è solo il tentativo di conformarsi e omologarsi a un sistema politico e sociale in cui la parola gay desta ancora riprovazione e fastidio.
Gabbana, dicendo I am a man, I am not a gay, nega implicitamente che si possa essere fieri e felici di essere uomini gay.
Certo, qualcuno obietterà che Gabbana non nasconde affatto il proprio orientamento sessuale e, dunque, la sua esigenza non è quella di velarsi e nascondersi. Eppure, se Gabbana non fosse ricco e famoso, se fosse un ragazzo come tanti, uno di quelli che in questo Paese stentano ancora a vivere con serenità e orgoglio il proprio amore alla luce del sole, un’espressione come I am a man, I am not a gay non potrebbe che essere fonte di dolore e solitudine: dolore per il fatto di essere gay e solitudine per il fatto che – secondo Gabbana – bisogna rinunciare alla bellezza e alla rivendicazione culturale della propria differenza.
Affermazioni del genere sono veri e propri attentati al lavoro di crescita e progresso che stiamo provando a compiere in questo Paese. In nome di questo progresso e in memoria dei tanti ragazzi che si sono vergognati a tal punto di essere ragazzi gay da preferire la morte (cioè l’apice dell’indifferenziazione) GayNews riprende e fa sua la campagna #BoycottDolceeGabbana, che il presidente di Arcigay Napoli Antonello Sannino ha tempestivamente lanciato sulla sua pagina Facebook.