Silvia Marcantoni Taddei e Massimo Sannelli lavorano con la sigla comune di AnimaeNoctis. Sono due artisti polivalenti. Spaziano dalla poesia alla musica, alle arti plastiche e visive, alla performance e al cinema. Non trascurano il senso di cura e qualità del lavoro, insieme alla sperimentazione. Non fanno passi falsi, non strizzano l’occhio a facili mercificazioni. Sono, in libera coerenza tra percorso di vita ed artistico, anche non binary. Gli abbiamo posto alcune domande, a cui hanno risposto insieme.
Cos’è per voi non binary e che rapporto ha con il vostro lavoro artistico?
Sei maschio e non giochi a calcio, sei femmina e le bambole ti fanno schifo. Questione di gusto. Non binary è non rigidità: hai tante forme ma non il rigore, sei serio ma non rigido. Ti trasformi e non diventi niente, perché l’identità è quella: multipla da sempre. Il nostro lavoro è multimediale per questo. Damien Hirst espone da Gagosian un sacco di spazzatura accanto a una vetrina di gioielli, e questo è valore (per gli esteti) e grande cash (per gli investitori). Perché la vita non può essere così? Un’installazione divertente, varia, critica, autocritica. E un impegno: non è che divertirsi vuol dire non avere responsabilità.
State facendo un lavoro di avanguardia in un paese statico e indulgente quasi solo a trash o banalizzazioni. C’è solo sofferenza nell’arte che sperimenta o si trovano aperture anche di pubblico?
Quando credevo che ci fosse solo sofferenza, non riuscivo a sperimentare. Quando sperimentavo con i compagni sbagliati, per me era sofferenza: sai quando fai sesso con qualcuno e dopo l’orgasmo ti chiedi cosa ci faccio qui? E allora maledici anche l’orgasmo. Il pubblico c’è e si vede. Lo stiamo incontrando in una vetrina della galleria Almach, dove giriamo come lupi famelici in un loop video. E poi: la distinzione fra trash/popolare/anime e avanguardia (cioè invenzione) non è più così automatica: se Gucci sposa Bananya e Paperino, non possiamo tornare mentalmente binary. Sarebbe un pensiero negativo che si autoalimenta. E quindi: dove c’è invenzione non c’è noia, e allora arriva il pubblico.
Il vostro rapporto con la grande tradizione gay e queer italiana. Solo Mario Mieli o anche Gadda, Pasolini, Arbasino, Palazzeschi?
Tutte quante. Anche Tondelli, Busi, Coccioli, e Chiamenti, e Santacroce. Bella gente, di solito: bei corpi e voci calde. Gente che lavora moltissimo, e si inventa la lingua. Il nostro rapporto è fisico, se no che rapporto è? Questi autori sono la fuga dall’idea di cultura che ti insegnano a scuola: cultura senza corpo. Chi separa il pensiero dal corpo, separa il pensiero dall’azione. Di qui certe brutte voci, perché non si insegna a respirare. (E quale scuola può reggere+leggere I fiori di Palazzeschi? Con quale voce la cattedra può dire: “La madre l’aveva scoperto nudo che scopava con due greci, sul tavolo della cucina e mi masturbavo per attirare i cammellieri”? È Il risveglio dei Faraoni di Mieli). La scuola è lì per formare i cittadini. Ma perché un buon cittadino non può scopare nudo con due greci?
Lotta di Classico, perché questo nome per il vostro sito?
La vera differenza tra alto e basso non è più soldi o meno soldi, ma come spendere. L’umile signora compra orgogliosamente il robot da cucina a 1359 euro. Allo stesso prezzo non compra una vacanza o un oggetto d’arte. Eppure ha i soldi: non molti, ma nemmeno pochi. Però si censura, e si concede solo quello che le spetta (secondo lei). Nello stesso tempo Alessandro Michele grida: Donna, sto lavorando per te! Allo stesso prezzo! Ma la signora non lo ascolta. La battaglia non è più solo sui diritti, ma sui comportamenti: è inutile sposare il partner e poi temere il linciaggio di zia Pinuccia. Quindi: battaglia culturale. E interagire con la moda, l’industria, l’avanguardia, che sono contro tutto il binario determinato. E che oggi sono più a sinistra della gente (e la gente non è il popolo). L’odio è una grande perdita di tempo. È meglio offrire il piacere e chiamarlo cultura. E siccome il corpo è intramontabile, questo è Classico.
La musica contemporanea, su cui lavorate molto, con grandi risultati. Come nasce questa apertura poietica?
Non c’è solo il temperamento equabile. Possiamo suonare l’otamatōn, le pietre, il kazoo, e poi sussurrare, gridare, schioccare la lingua, unire il parlato di Edoardo Sanguineti a un Carlos Puebla rappato. L’apertura è la vagina da cui usciamo. L’apertura è un fatto fisico. E come nasce l’apertura? Abbiamo cercato nella musica il corpo che pensavamo di non avere nell’ambito di un sistema binario (e di un temperamento equabile). Così siamo nat*. E saremo mai soggetti sintetici? No: saremo una sintesi.