Uscito in libreria il 30 marzo ed edito da Mondadori, Cosplay Girl di Valentino Notari è un romanzo di formazione che indaga, primo nel suo genere, l’universo emotivo e sentimentale dei cosplayer, raccontandone i valori e focalizzandone le potenzialità inclusive e antidiscriminatorie. Valentino Notari, d’altronde, classe 1987, al suo esordio nella narrativa, è un cosplayer di fama mondiale che partecipa alle più rilevanti competizioni italiane e internazionali.
Il romanzo, parzialmente autobiografico, restituisce ai lettori alcuni passaggi esistenziali cruciali della giovane protagonista Alice, ragazzina dall’adolescenza dolorosa e difficile che, dopo aver attraversato il dramma del bullismo e dell’autolesionismo, trova il proprio riscatto personale entrando nella comunità dei cosplayer, grazie alla quale recupera le giuste motivazioni per apprezzarsi e superare le insicurezze legate al proprio corpo, arrivando ad accettare anche la propria identità sessuale. Licia Troisi, scrittrice italiana di romanzi fantasy diventata punto di riferimento a livello internazionale per i lettori di questo genere di narrativa, ha dichiarato che Cosplay Girl è un’appassionante storia d’amore, cosplay, accettazione contro ogni pregiudizio. Per saperne di più, abbiamo contattato telefonicamente Valentino Notari.
Credi esista una frattura profonda tra il cosiddetto mondo reale e quello dei cosplayer? Quali sono i valori più importanti di questo mondo che vorresti conoscessero tutti?
Molti cosplayer si immergono in questa realtà per evadere da situazioni di difficoltà. Per me è stato certamente così. Quando ho iniziato, i miei si erano appena separati e la mia quotidianità non era semplicemente grigia: ero rimasto solo, mi sentivo abbandonato dagli amici di allora, dall’istituzione scolastica e a casa ovviamente la situazione era molto pesante. Mi unii a un fan club di Star Wars e questo mi aiutò a sfuggire alla depressione e, poco dopo, iniziai a fare cosplay. Conobbi persone nuove, persone come me, e grazie al mondo fantastico di cui ero entrato a far parte, trovai il mio posto anche in quello reale. In un certo senso, credo che l’essenza del cosplay sia questa: anche se inizialmente, apparentemente, può sembrarci di voler fuggire dai problemi della realtà in cui viviamo, ciò che accade è che quella realtà in qualche modo si allarga, arrivando a comprendere l’immaginario fantastico di cui ogni appassionato di cultura pop è innamorato. Più che una frattura, parlerei di un confine, che una volta varcato apre le porte su un mondo straordinario, la cui luce accarezza anche quello reale, finendo per migliorarlo. Molte persone tendono a sottovalutare il cosplay, credono che sia un modo per nascondersi dietro una maschera, ma per certi versi si tratta dell’esatto contrario: con un costume addosso, ci si espone agli occhi degli altri, impedendogli di distogliere lo sguardo. E lo si fa in una veste che ci fa sentire a nostro agio.
Ci racconti, da cosa nasce la “rigenerazione” di Alice? Anche tu sei un cosplayer, quanto di autobiografico rivive nella storia di Alice?
C’è molto di autobiografico, ma anche elementi di totale fantasia. Come dicevo, entrare nella community dei cosplayer ha cambiato in meglio la mia vita: se prima mi nascondevo e temevo molto il giudizio degli altri, il semplice fatto di far parte di qualcosa di così speciale mi ha dato la forza di apprezzarmi come persona. Sono uscito dal guscio anche a scuola, dove ho cominciato a reagire al bullismo che subivo, a farmi dei nuovi amici, perfino ad essere considerato come possibile partner, qualcosa che fino a quel momento mi era del tutto estranea. Era come avere una “vita segreta”, che però mi dava la carica quotidianamente. Bastava scambiare qualche messaggio con altri cosplayer durante le lezioni per sentirmi in qualche maniera connesso e l’attesa dei week-end in cui potevo andare alle fiere del fumetto era il mio carburante per andare avanti e non arrendermi. Perfino i miei voti tornarono ad essere alti, grazie a questa nuova realtà parallela in cui mi ero immerso. Come Alice, tuttavia, anche io ho impiegato molto tempo per superare alcuni dei traumi pregressi, a cominciare dalla dipendenza dall’autolesionismo, qualcosa con cui ho lottato ben oltre il periodo dell’adolescenza. Tutt’oggi, nei momenti di difficoltà, buttarmi a capofitto sulla costruzione di un costume o partecipare a un evento è la miglior medicina per darmi una scossa e risollevarmi da un baratro da cui è difficile uscire del tutto.
All’interno della comunità di cosplayer la protagonista ha l’opportunità di esplorare e fare esperienza dei propri desideri, innamorandosi di una ragazza: esiste un modo differente e non omologato di vivere il sesso e le relazione d’amore all’interno della comunità di cosplayer?
La nostra è una community estremamente inclusiva, in cui trovano spazio, e spesso rifugio, tantissime persone Lgbtqia+. Quando ho iniziato, mi sono trovato immerso in un mondo in cui l’eteronormatività tipica della nostra società era molto più debole e, sebbene all’epoca io stesso rifiutassi con forza la mia bisessualità, fu proprio l’ambiente intorno a me ad aiutarmi a trovare il coraggio di esplorarla. Questo non significa che non esistano resistenze omotransfobiche. Purtroppo, non è raro che cosplayer appartenenti alla comunità Lgbtqia+ si trovino ad essere oggetto di commenti carichi d’odio, soprattutto sui social, a causa del loro orientamento sessuale, della loro identità di genere o, addirittura, di quelle dei personaggi che interpretano. Io stesso ho subito attacchi di questo tipo, quando mi sono esposto per parlare apertamente di temi e diritti Lgbtqia+ attraverso i miei costumi. Fortunatamente, sono tante le persone disposte a fornire supporto e a correre in soccorso delle vittime di questa forma orrenda di bullismo.
Il tuo romanzo lega tematiche Lgbtqia+ alla vita dei cosplayer. È la prima volta che questo avviene o esistono già progetti fondati su questa convergenza di argomenti e temperature? L’identità di un cosplayer – al di là del suo orientamento sessuale – è un’identità fissa o fluida?
A livello mediatico no, non che io sappia perlomeno. Ma la domanda non è solo pertinente, è estremamente intrigante e complessa. Di fatto, numerosi cosplayer proiettano una parte di sé sui personaggi che interpretano e viceversa e vestire i panni di qualcuno che si riconosce in un genere diverso dal nostro può essere un ottimo punto di partenza per esplorare lati di noi che giacevano sopiti o a cui semplicemente non avevamo mai dato peso. A livello personale, mi è stato di grande aiuto cominciare a cimentarmi in quel che in gergo chiamiamo “crossplay”, ovvero, nel mio caso, nell’indossare costumi di personaggi femminili. Ho trovato il coraggio di fare coming out proprio grazie a un set fotografico in cui interpretavo Moira, una delle eroine del videogioco Overwatch, e da allora continua ad essere un modo per approfondire e apprezzare la mia parte femminile. Recentemente, ho interpretato anche una delle prime protagoniste transgender del mondo gaming, V di Cyberpunk 2077, un personaggio che mi è rimasto particolarmente nel cuore e uno dei cosplay di cui sono più orgoglioso in assoluto