«Seduti uno accanto all’altro su un grande divano in similpelle, così di moda nelle case italiane anni Settanta. A sinistra, una chioma corvina arruffata incornicia il viso allungato di un giovane dall’aspetto quasi bambinesco, non fosse per le sopracciglia inarcate e la sbarbatura non fresca che ne rivelano la maggiore età. La chioma a destra, castana e acconciata a caschetto, ricade sull’ovale quasi perfetto di un adolescente. E poi quel sorriso accennato, che uno scatto familiare ha immortalato e consegnato alla nostra memoria in uno sbiadito bianco e nero. Sono Giorgio Agatino Giammona e Antonio Gino Galatola, la cui storia d’amore e morte è tutta un bianco e nero proprio come quella foto di quarantun anni fa».
Con questa fotografia, che ci conduce subito nell’emersione perturbante di una tragedia umana e storica, comincia Il delitto di Giarre. 1980: un “caso insoluto” e le battaglie del movimento Lgbt+ in Italia di Francesco Lepore, che esce oggi per Rizzoli. Giorgio e Antonio (detto Toni) sono i protagonisti: su di loro, a Giarre nel 1980 si compie un omicidio-finto suicidio che non sarà mai davvero chiarito, come il libro di Lepore dimostra, scavando con finezza e determinazione tra tracce testimoniali scritte e orali e incongruenze istruttorie.
Emerge un tessuto sociale estremamente conservatore, ipocrita, omofobo e persecutorio, che cerca in ogni modo di nascondere le relazioni omosessuali in generale e di occultare ogni sospetto o prova su un probabile duplice omicidio “punitivo”. Il tutto nell’ipocrisia della narrazione di una Giarre Anni Ottanta aperta, “tollerante”, al passo con i tempi. Ma l’immagine che Lepore presenta come incipit porta anche a un aspetto che non riguarda solo l’inchiesta giornalistica, il cold case riesumato: si tratta di un afflato narrativo che pervade l’intero testo.
La scrittura, in Lepore, nasce da un’empatia profonda, e, attraverso le immagini, diventa un’etica, come in Pasolini. Le immagini del passato sono simili alle immagini dialettiche di Benjamin, risorgono dall’oblio storico per cercare nel presente la loro “resurrezione”: «Fare di questo libro un memoriale della vita, morte e resurrezione di Giorgio e Toni: è quanto mi sono prefisso di fare, e spero di esserci riuscito, almeno in minima parte. Resurrezione, non già nella loro propria carne – ci mancherebbe pure -, ma nei cuori delle persone Lgbt+, che ai due ziti, colpevoli solo di essersi amati alla luce del sole e di aver svelato così l’ipocrisia di una società “tollerante” oltre quarant’anni fa, sono debitrici».
Fondamentali, all’interno del testo, le numerose testimonianze a latere di Paolo Patanè, all’epoca adolescente giarrese, poi presidente nazionale di Arcigay. Patanè – citando ancora Benjamin, stavolta nell’interpretazione di Brecht – è lo sguardo straniante che mette in luce la ricostruzione dei fatti dal punto di vista della sofferenza e del desiderio di verità e giustizia degli oppressi. Oppressi nel vuoto e nella censura, quando non della violenza attuata, da una società eteropatriarcale che, ancora con Pasolini, «divora i suoi figli», come ha divorato le vite di Giorgio e Toni.
Il libro di Lepore narra anche dei primi passi del movimento anni Ottanta, dalla fondazione di Arci-Gay (con il trattino) alla lotta per la legge sulla transessualità, con episodi inediti, come la Stonewall italiana delle trans del Mit (all’epoca Movimento Italiano Transessuali), che rovesciano sedie e tavoli in un bar di Roma e si battono contro la polizia. Sempre accesa, infine, l’attenzione alle marginalizzate del movimento: le lesbiche.
Resta comunque sempre in primo piano la nascita di un modo di narrare che adotta la precisione del giornalista d’inchiesta e dello storico per portarli oltre se stessi, verso la vivificazione etica attaverso una potente struttura narrativa ed evocativa. E si produce, in molte pagine, una forte tensione in cui la storia diventa un tempo-ora (ancora Benjamin) che ci proietta verso l’agire nel presente, in questi tempi dove molte delle questioni che ribollivano già negli anni Ottanta non sono ancora state risolte. Il senso della scrittura di Lepore è polidimensionale, non riassumibile, conduce a visioni d’insieme, ci porta verso una politica dove nessuna parte della complessità e ricchezza dell’umano sia trascurata. Ed è resurrezione per tutti e tutte.