Alla fine c’è una data certa per l’inizio della discussione in Senato del ddl contro violenze e discriminazioni per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità: il 13 luglio alle 16:30. L’Aula ha infatti ieri confermato il calendario dei lavori, stabilito il 23 giugno dalla conferenza dei capigruppo, respingendo sia la mozione di Lega e Forza Italia sia quella di Fratelli d’Italia. I due partiti dell’area di centrodestra della maggioranza avevano chiesto di rinviare l’inizio della discussione del ddl Zan alla successiva settimana del 20 luglio, i meloniani, invece, di non porre affatto in discussione il disegno di legge.
A votare a favore della prefissata calendarizzazione Autonomie, Iv, LeU, M5s e Pd dopo che il tavolo informale delle forze di maggioranza, tenutosi in tarda mattinata e nel primo pomeriggio, non era riuscito a trovare alcun accordo sia sulla richiesta azzurro-leghista di rinviare la decisione di 24 ore sia sulla proposta “conciliativa” Ostellari, che, mantenendo l’impianto del ddl Zan, integra nel testo modifiche agli articoli 1, 4, e 7 cancellando le parole identità di genere e mantenendo unicamente quelle di sesso, genere e orientamento sessuale.
Proposta salutata con plauso dal capogruppo di Iv a Palazzo Madama Davide Faraone e dal sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto, che, pur deprecando l’assenza di copertura per le persone trans, rilevava a Rai News24: «Per la prima volta la Lega parla di allargare la legge Mancino almeno ai reati fondati sull’orientamento sessuale. È certamente una novità sostanziale che non può essere ignorata». Ma, se è innegabile quanto detto in relazione alla Mancino, è parimenti vero che i soli riferimenti al «sesso, genere e orientamento sessuale» con l’omissione dell’identità di genere si ritrovano nel rigettato ddl Rozulli-Salvini-Binetti-Quagliariello, che, in ogni caso, andava ad allargare il disposto dell’art. 61 del Codice penale.
D’altra parte è ben difficile credere all’effettiva buona volontà di Andrea Ostellari, pur ampiamente elogiato da Faraone in Aula, i cui tentativi ostruzionistici messi finora in campo sono ben noti a partire dalle 170 audizioni ammesse in Commissione Giustizia sul ddl. Aspetto, questo, evidenziato, fra gli altri, dalla senatrice Simona Malpezzi, capogruppo del Pd, che nel suo intervento in Aula ha osservato: «Non è che noi ieri o la settimana scorsa ci siamo svegliati nel chiedere la calendarizzazione, perché sono mesi che stiamo chiedendo che in quella Commissione si possa affrontare il tema in maniera ordinata. La risposta di ordine data dal presidente Ostellari, certamente nelle sue prerogative, è stata quella di consentire – e va benissimo – un numero molto elevato di audizioni, ben 170. A quel punto abbiamo fatto un’altra richiesta: che almeno le audizioni già svolte alla Camera venissero date per consolidate, conosciute, quindi depositate nuovamente e lette; non ci è stato concesso neppure quello. Abbiamo quindi chiesto che le 170 audizioni potessero essere contenute in un programma molto compatto, in modo tale da consentire alla Commissione di procedere; non ci è stato consentito neppure quello, tanto che da aprile le audizioni sono ancora in corso e non sono terminate, perché c’erano solo poche ore alla settimana per poterle svolgere».
La senatrice dem ha quindi aggiunto: «Tra l’altro, abbiamo sentito importanti esponenti della Lega dire che bastano dieci minuti per trovare gli accordi. E allora quella Commissione li potrà trovare gli accordi! Oggi scopriamo in Aula che invece non può essere così e sentiamo però anche altre cose che non sono corrette, perché corretto non è neppure il termine “mediazione”. Quella che è stata presentata oggi, dal nostro punto di vista (legittimo o meno), non è una mediazione, perché non si può mediare con una proposta che decide di tener fuori dalle tutele e dalla protezione tutte le persone trans o in transizione. Questa non è una mediazione o, almeno, noi non vogliamo mediare su questo».
Non si può non notare come la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati avesse lanciato un appello irrituale prima della votazione invitando, in pratica, a tenere in considerazione la mozione azzurro-leghista: «Da quanto emerge dagli interventi, a parte Fratelli d’Italia tutti gli altri gruppi si sono mostrati favorevoli a un dialogo e a una mediazione e la differenza di tempo per le proposte di calendarizzazione è di una settimana. Che non si dica che quest’aula rinuncia al dialogo per una questione di una settimana».
Dopo l’esito del voto il segretario del Pd Enrico Letta ha twittato: «Calendarizzato il Ddl Zan. Quindi vuol dire che i voti ci sono. Allora, in trasparenza e assumendosi ognuno le sue responsabilità, andiamo avanti e approviamolo».
Calendarizzato il #DdlZan. Quindi vuol dire che #iVotiCiSono. Allora, in trasparenza e assumendosi ognuno le sue responsabilità, andiamo avanti e approviamolo.
— Enrico Letta (@EnricoLetta) July 6, 2021
Ospite di Radio anch’io, Matteo Salvini aveva precedentemente accusato M5s e Pd di «affossare il tema» aggiungendo che il Carroccio «ha accolto l’appello del Santo Padre». Appello che, giova ribadirlo, Francesco non ha mai fatto – cosa ben diversa è la nota verbale della II Sezione della Segreteria di Stato sulla “rimodulazione” del ddl Zan – e che, pure se avesse fatto, non potrebbe sicuramente essere rilanciato da chi in materia di politica migratoria si è posto sempre in antitesi agli aperti moniti bergogliani e da chi, oltre a sfoggiare insieme coi leghisti t-shirt con la scritta Il mio Papa è Benedetto, ha esposto più volte al pubblico ludibrio il pontefice argentino, come successo al comizio milanese del 18 maggio 2019. Per non parlare del discorso del presidente del Consiglio Mario Draghi sulla laicità dello Stato e sull’autonomia sovrana del Parlamento. Ma questa è tutta un’altra storia.