«Se sei omosessuale non sarai mai felice». Queste alcune delle parole che, in materia di omosessualità e fede cristiana, il vescovo di Pavia Corrado Sanguineti ha rivolto agli alunni del locale Istituto professionale di Stato per l’industria e l’artigianato (Ipsia) Luigi Cremona.
Invitato a parlare il 7 marzo scorso quale relatore nell’ambito del ciclo di conferenze L’Ipsia incontra le istituzioni, il presule aveva avuto il compito – come egli stesso ha spiegato in una lettera al direttore de La Provincia Pavese – d’illustrare «l’identità e la missione della Chiesa, come comunità visibile di credenti, nella società e quale sia il compito del vescovo».
La questione dell’omosessualità in correlazione col «pensiero della Chiesa» – ed è necessario precisarlo per dare una corretta valutazione alle polemiche successivamente scatenatesi – è stata sollevata da uno studente dopo la relazione tenuta da Sanguineti. Da qui l’ampia risposta dello stesso – a tratti impacciato e disinformato come quando ha parlato di possibilità di “cambiare” l’orientamento omosessuale – che è pur sempre da leggere nell’ottica del “pensiero della Chiesa”.
Il concetto di felicità evocato è quello soprannaturale. E l’esempio di cristiani omosessuali che si sforzano di vivere un amore d’amicizia desessualizzato non è nient’altro che la riproposizione dei dettami del Catechismo della chiesa cattolica, cui lo stesso “rivoluzionario” Bergoglio ha fatto – e fa riferimento – quando ha parlato del Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?.
Giustamente Arcigay Pavia Coming-Aut ha riportato con particolare sdegno, ritenendola di stampo gravemente omofobo, la dichiarazione: «La tendenza omosessuale è qualcosa di disordinato rispetto all’ordine della natura». Ma che, in realtà, non è nient’altro che la riproposizione del nr. 2358 del citato Catechismo vigente.
Giustamente Barbara Bassani, presidente di Arcigay Pavia Coming-Aut, ha reagito con un duro comunicato alle dichiarazioni di Sanguineti, la cui formulazione, a volte cattedratica (Sanguineti ha conseguito un dottorato in teologia biblica presso la Pontificia Università della Santa Croce, gestita dall’Opus Dei, ed è un bagnaschiano), non ha tenuto in conto degli effetti controproducenti su adolescenti.
È però anche necessario riportare la questione all’alveo della domanda sollevata (nulla a che vedere, dunque, col tema svolto nella conferenza) e al dato del pensiero della Chiesa. Questo, sì, – e a esso il vescovo Sanguineti quale testimone e interprete si è riallacciato – da definire omotransfobico anche se valido – e, dunque consapevolmente accettato – per i soli credenti.
Chiariti tali punti, è necessario comunque ricordare come Sanguineti – e, in questo, è pienamente allineato col pensiero bergogliano – sia uno di quei presuli della galassia antigenderista. Un episodio riportato da Barbara Bassani al riguardo è indicativo. Al pari del pubblico sostegno a preghiere riparatrici in occasione del Pride pavese dello scorso anno. Per non parlare dell’incapacità dialogica col locale comitato d’Arcigay che, invece, ricorda con piacere le parole loro rivolte dal vescovo Giovanni Giudici, predecessore di Sanguineti,: «Da voi ho tanto da imparare».
Insomma, se la lettera aperta al direttore de La Provincia Pavese chiarisce alcuni aspetti della vicenda dell’Ipsia, grava pur sempre su Sanguineti l’ombra d’una comunicazione intransigente quanto infelice. Che in un vescovo, tra i cui principali ministeri c’è quello della parola, non è proprio cosa di poco conto.7