Quella di Boston è la più antica tra le maratone annuali nel mondo. Disputata la prima volta nel 1897, è stata riservata fino al 1972 a partecipanti di sesso maschile.
Ma dopo l’apertura alle donne la storica maratona bostoniana ha segnato quest’anno un ulteriore passo in avanti. I funzionari di gara hanno ufficialmente permesso alle persone transgender di poter competere nelle categorie maschile o femminile secondo il genere con cui si identificano.
«Prendiamo le persone in parola e registriamo le persone come si specificano – ha detto Tom Grilk, presidente dell’ente organizzatore, la Boston Athletic Association –. I membri della comunità Lgbt hanno avuto molto da affrontare nel corso degli anni e preferiremmo non aggiungere anche questo peso».
Almeno cinque donne apertamente transgender risultano iscritte per correre, il 16 aprile, attraverso Boston e la sua periferia i 42,195 km di rito. In passato alcune persone transgender si erano semplicemente registrate e avevano corso. «Ma molte altre avevano troppa paura di provare» ha detto Amelia Gapin, una donna transgender di Jersey City, che è iscritta alla gara di quest’anno.
L’esempio bostoniano sta facendo scuola. Gli organizzatori delle maratone di Chicago, New York City, Londra e Los Angeles hanno tutti dichiarato che la registrazione avverrà sulla base del genere indicato durante le iscrizioni. «Vogliamo essere inclusivi e sensibili nei riguardi di tutti i soggetti partecipanti», ha affermato Carey Pinkowski, direttore esecutivo della Maratona di Chicago. E per far ciò, ha aggiunto, «non riteniamo di dover richiedere certificazioni legali o mediche o qualcosa del genere».
Ma resta una questione spinosa. Quella legata, cioè, al dibattito relativo alle gare olimpiche che, negli ultimi anni, si è concentrato sulle donne transgender, richiedenti interventi chirurgici o farmaci per abbassare i livelli di testosterone. Nel 2016 i funzionari olimpici hanno emesso nuove regole sulla base delle quali le donne trans possono competere se i loro livelli di testosterone rimangono al di sotto di un certo limite. Regole che sono generalmente seguite nelle competizioni d’élite.
Ora quella di Boston è sì una maratona per dilettanti ma rigidamente basata sul rispetto rigoroso dei tempi di qualificazione in base all’età e al sesso. Sui social alcuni commentatori hanno affermato che le donne transgender hanno un vantaggio fisico ingiusto rispetto alle altre. Al riguardo Stevie Romer, una donna transgender di Woodstock afferma di essersi iscritta a Boston come donna perché è quello che è sebbene non abbia fatto nulla per abbassare i suoi livelli di testosterone. «Amo correre – ha detto – da quando ho memoria, ma sono transgender».
D’altra parte esperti medici sostengono che non ci sono prove di un vantaggio atletico per le donne trans che non abbassano i livelli di testosterone. «Questo è un equivoco e un mito – ha detto il dottor Alex Keuroghlian, direttore dei programmi di istruzione e formazione presso il Fenway Institute, un centro di salute e difesa della comunità Lgbt di Boston -. Piuttosto, le donne trans che assumono farmaci per abbassare i loro livelli di testosterone spesso affrontano effetti collaterali come disidratazione, lentezza e resistenza ridotta».
Amelia Gapin ha detto che ha dovuto superare importanti battute d’arresto durante la sua transizione: mentre prendeva i bloccanti per il testosterone, il suo ritmo diminuiva di più di un minuto al miglio. Poi ha subito un intervento chirurgico e ha dovuto attendere mesi dall’allenamento per riprendersi. Amelia ha lavorato per tre anni come donna apertamente transgender prima di qualificarsi per Boston. Anche se sa che a qualcuno potrebbe non piacere, ha intenzione di correre la gara questo mese. «Voglio solo correre per divertimento – ha detto -. In realtà correre è una sorta di giro di fortuna per quello che ho realizzato».