Di Maria Elisabetta Alberti Casellati si continua a parlare tanto dal giorno dell’elezione a presidente del Senato. E non potrebbe essere diversamente per la seconda carica dello Stato.
Ma negli ultimi giorni l’attenzione s’è particolarmente incentrata su di lei in riferimento al mandato esplorativo per sciogliere il nodo gordiano del momento. Quello, cioè, relativo all’eventuale formazione del nuovo governo, per il quale ancora domenica a Sky TG24 era tornata a riproporsi e che oggi le viene affidato – sia pur limitatamente a soli due giorni – dal Capo dello Stato.
Ma negli scorsi giorni la “berlusconiana ‘senza se e senza ma’” – come l’ebbe a definire Guido Quaranta – ha dato prova di diverse disponibilità. Riaffermando soprattutto (in una con l’assoluta fedeltà) quella all’ex presidente del Consiglio, i veti nei cui confronti ha detto di non capire perché «lui ha ricevuto voti da milioni di italiani e fa parte della nostra democrazia».
Dichiarazioni che, rilasciate il 10 aprile nel salotto amico di Porta a Porta, sono state accompagnate da un duplice ribadimento. Quello, scontato, d’essere “orgogliosamente berlusconiana” e quello, prevedibile, di voler essere chiamata “il presidente del Senato”. Aspetto, quest’ultimo, riaffermato anche nella due giorni (12-13 aprile) sulla violenza di genere, tenutasi a Roma presso la Biblioteca Nazionale e organizzata dal Csm.
«Non c’è bisogno – ha spiegato a Bruno Vespa – di mettere un articolo o di usare vocaboli anche cacofonici come ministra per affermare la parità di genere. Sono battaglie veterocomuniste superate dai tempi».
Se la battuta finale fa sorridere per l’antistoricità – la battaglia per il linguaggio non sessista non ha nulla a che spartire col primigenio quanto successivo comunismo – e la piena consentaneità con l’armamentario lessicale, questo sì, veteroforzista (dal golpe alla giustizia ad orologeria, dalle toghe rosse alla dittatura mediatica), fanno invece piangere le argomentazioni previe.
Perché indicative di quanto Maria Elisabetta Alberti Casellati sia a digiuno dei ripetuti pronunciamenti dell’Accademia della Crusca sull’uso della forma femminile per i titoli professionali e per i ruoli istituzionali riferiti alle donne. Perché indicative di quanto ella ragioni per slogan dal momento che la cacofonia o presunta bruttezza della nuova forma – come nel caso di ministra – non è affatto un argomento di tipo linguistico.
Maria Elisabetta Alberti Casellati, d’altra parte, avrebbe certamente da ridire se qualcuno definisse, ad esempio, Bianca Balti modello anziché modella o la sua maestra delle elementari maestro. Perché allora modella, maestra, infermiera, sarta, cuoca (e via discorrendo) non suscitano in lei – come in tanti – obiezione alcuna a differenza di ministra, sindaca, medica, avvocata?
La resistenza all’uso del genere grammaticale femminile per molti titoli professionali o ruoli istituzionali è spiegabile se correlata alla preclusione degli stessi cui le donne, fino a tempi recenti, sono state generalmente soggette in ambiti ritenuti esclusivamente maschili e, di fatto, riservati a uomini.
Meraviglia inoltre che un’ex docente di diritto canonico, formatasi nelle austere aule della Pontificia Università Lateranense, non sappia che tali forme sono utilizzate da secoli in riferimento a Maria, considerata dai cattolici la donna per antonomasia. Le basterebbe dare una scorsa a volumi come la seicentesca Polyanthea Mariana di Ippolito Marracci o, più semplicemente, pensare all’invocazione Advocata nostra della conosciutissima antifona medievale Salve, Regina, che è stata sempre tradotta in italiano con Avvocata nostra.
Per quanto riguarda poi l’uso dell’articolo da premettere al termine presidente, di cui parlava Maria Elisabetta Alberti Casellati con Vespa, sarà opportuno ricordare che sono linguisticamente ambigenere, anche se tradizionalmente attribuiti a uomini, i nomi professionali/istituzionali uscenti in -ente (come presidente o dirigente) e derivati dal participio presente dei verbi. A far variare il loro genere sarà appunto l’articolo che li precede come nello specifico caso riguardante l’attuale seconda carica dello Stato.
Ma adesso, norme linguistiche a parte, non resta che augurarsi un felice esito per il mandato esplorativo affidato a Maria Elisabetta Alberti Casellati. Cosa che, in realtà, sembra improbabile ai più.