Settimo decennale d’attività per l’Unione italiana sport per tutti (Uisp), nata a Roma nel 1948 col nome d’Unione italiana sport popolare. Riconosciuta dal Coni come ente di promozione sportiva, assunse il nome attuale negli anni ’80 del secolo scorso.
Composta attualmente di 142 comitati regionali e territoriali, l’Uisp con 20 strutture nazionali d’attività e oltre 1.345.000 soci promuove una cultura dello sport basata non sulla competizione ma sulla partecipazione allargata a tutti senza discriminazioni di genere, età, nazionalità, orientamento sessuale nonché sulla solidarietà e sul rispetto dell’ambiente.
In occasione del settimo anniversario di fondazione Gaynews ha raggiunto Manuela Claysset, responsabile nazionale Politiche di genere e Diritti, per sapere qualcosa in più soprattutto delle politiche attuate dall’Uisp verso le persone Lgbti.
L’Uisp compie 70 anni. Quale rapporto tra la finalità originaria di “sport popolare” e quella attuale di “sport per tutti”?
Oggi come 70 anni fa la Uisp è impegnata nella promozione dello sport e della pratica motoria, perché sono un diritto per tutti e per tutte. Sono cambiate molte cose dal 1948 quando lo sport era patrimonio di poche persone, quasi un’élite. Per questo l’idea di sport popolare, per portare lo sport verso le persone, per dare voce a quella richiesta di socializzazione e di rinascita che caratterizzava il nostro Paese nel dopoguerra.
Ancora oggi occorre riaffermare che lo sport è un diritto perché troppe sono le fasce di popolazione che hanno difficoltà ad accedere alla pratica sportiva. Basti pensare che ancora oggi circa 23 milioni di italiani non fanno assolutamente nulla: sono i sedentari.
La visione dello sport basata sulla partecipazione allargata a tutti comporta l’abbattimento di qualsivoglia discriminazione. Che cosa ha fatto e sta realizzando l’Uisp con riferimento a quelle da orientamento sessuale e identità di genere?
Il nostro impegno è su vari fronti. Prima di tutto un impegno per promuovere una diversa cultura di inclusione, con il confronto e la collaborazione con diverse associazioni e reti istituzionali. Un impegno che ha visto la realizzazione di diverse campagne di sensibilizzazione, iniziative e progetti anche a livello europeo. Ad esempio, il progetto Football for equality con lo slogan: Ora che lo sai, cosa cambia? con la foto delle scarpe di calcio appese all’interno di uno spogliatoio. Così come la realizzazione di tornei, manifestazioni diffuse sul territorio e che vedono un continuo confronto con l’ssociazione e le persone Lgbti, un percorso non facile ma che ha visto in questi anni un sempre maggiore coinvolgimento del nostro mondo sportivo.
In diversi casi siamo passati dalla collaborazione o realizzazione saltuaria al coinvolgimento nelle attività consolidate, con la partecipazione di squadre Lgbti nei nostri campionati. Inoltre siamo impegnati per la formazione sia per i dirigenti ma anche per le figure tecniche, per gli educatori e le educatrici che sono impegnati ogni giorno nelle attività. Per dare maggiori strumenti a che si impegna nelle attività ed essere sempre più attenti e inclusivi.
Omofobia, transfobia e sessismo sono ancora molto radicati in attività sportive come il calcio. Sono a suo parere atteggiamenti strettamente correlati tra loro? E quali sono le strategie da attuare per giungere a un loro ridimensionamento?
Anche per questo serve un impegno ampio e trasversale, a partire dai vertici federali, dallo sport di livello. Assistiamo troppo spesso a dichiarazioni sessiste e omofobe da parte di personaggi importanti, dirigenti del sistema sportivo. Un pessimo esempio che facilmente ritroviamo anche nello sport di base, nel linguaggio e negli slogan dei tifosi, nei mezzi di comunicazione e che non sempre vengono contrastati con la dovuta attenzione. Credo che su questo occorra una riflessione per un cambiamento radicale, che vada oltre le sanzioni economiche e che sia in grado di coinvolgere tutti i diversi soggetti.
Accanto a questi episodi di razzismo e di discriminazione, esistono anche buone pratiche, attività di inclusione contro ogni forma di violenza. Occorre dare visibilità a queste esperienze e questo è il nostro impegno. Penso a manifestazioni come i Mondiali antirazzisti, a progetti come Il Calciastorie, ma anche i tornei, le attività che hanno completamente cambiato le regole del calcio per essere più inclusivi: esempi che occorre far conoscere e diffondere maggiormente sul territorio.
Con riferimento alle persone transgender, che hanno intrapreso il percorso di transizione, l’Uisp prevede la procedura alias. Può spiegare di cosa si tratta e quali risultati comporta?
L’impegno di Uisp per i diritti delle persone Lgbti ha visto in questi anni la realizzazione di diversi momenti e confronti pubblici. Da una specifica riflessione sulla transessualità, grazie alla collaborazione di una base associativa come Asd Bugs di Bologna, con i ragazzi e le ragazze del Gruppo Trans di Bologna nel maggio 2017 abbiamo avuto la possibilità di confrontarci in merito ai problemi che le persone trans riscontrano nello svolgimento delle attività sportive.
Sono problemi e difficoltà molteplici: le persone trans hanno bisogno di una diversa attenzione nell’ambito sportivo, di spazi adeguati negli impianti, di essere riconosciute ed accolte. Essere riconosciute ed accolte, anche attraverso il tesseramento. Per questo la Uisp ha intrapreso il tesseramento alias per le persone transessuali, seguendo le esperienze avviate nel mondo accademico e in diverse amministrazioni pubbliche o aziende.
Ai fini del tesseramento le persone transessuali, che cambieranno i propri dati anagrafici solo al termine di un lungo e faticoso iter, potranno essere socie della Uisp richiedendo di acquisire un’identità alias, cioè avere un nome differente dal sesso anagrafico e che potrà essere utilizzato nello svolgimento delle attività della nostra associazione, con tutte le coperture assicurative garantite ai nostri associati.
Questo impegno nasce anche grazie alla disponibilità di Marsh, broker assicurativo e dell’aiuto, che diversi soggetti hanno messo in campo come la Rete Lenford – Avvocatura per i Diritti delle persone Lgbti. Questa opportunità del tesseramento Uisp è diventato uno spot promozionale, un’idea nata dal Gruppo Trans Bologna che insieme all’Ufficio Comunicazione Uisp Nazionale, hanno realizzato un breve video, una storia per dare voce a questa esperienza. Crediamo che l’inclusione sia fatta anche attraverso azioni concrete e questa del tesseramento alias sicuramente è una di queste.
Qual è la collaborazione in tale ambito tra Uisp e Centro SInAPSi?
Con SInAPSi è nata una collaborazione e un protocollo che ci ha visto in questi anni impegnati in diversi momenti comuni, a partire dal Convegno realizzato nell’aprile del 2015 Terzo Tempo fair Play – Lo sport contro l’omofobia e la transfobia, di cui lo scorso anno abbiamo pubblicato gli atti. Un incontro e una collaborazione molto importante che ci ha permesso di realizzare alcuni appuntamenti formativi, con momenti specifici che abbiamo svolto per dirigenti sportivi, con i tecnici, educatori ed educatrici di varie discipline, ma anche coinvolgendo giovani, i giornalisti sportivi e altre figure coinvolte nello sport.
Siamo consapevoli che c’è ancora molto da fare per cambiare questa cultura ancora discriminatoria che troppo spesso caratterizza l’ambiente sportivo. La formazione e la sensibilizzazione sono fondamentali. Collaborare con centri come SInAPSi per noi significa una crescita culturale, utile per tutto il mondo sportivo, che ci vedrà impegnati anche in futuro.
Maratona di Boston: quest’anno hanno partecipato ufficialmente cinque donne trans nella categoria femminile. Come giudica ciò soprattutto in riferimento al fatto che alcune di loro non assumono farmaci per abbassare il livello di testosterone?
Credo sia un segnale importante, un’azione concreta. Nello sport abbiamo assistito spesso a gesti e azioni che hanno fatto la storia e che hanno portato grandi cambiamenti. Questa decisione degli organizzatori della Maratona certamente è un altro passo. Fa piacere che nasca da quella di Boston, che è rimasta nella storia per diversi motivi.
Era il 1967 quando Kathrine Swizter divenne la prima donna a partecipare alla Maratona di Boston, iscrivendosi con un nome falso alla competizione: le donne allora non potevamo partecipare ufficialmente alle gare di fondo perché erano considerate troppo fragili per questo tipo di manifestazione. Nonostante i giudici di gara avessero tentato in tutti i modi di fermarla, Kathrine arrivo al traguardo, protetta anche da gli altri maratoneti uomini.
Questo gesto cambiò il mondo dello sport, aprendo la strada alla sempre maggior presenza delle donne nelle competizioni sportive. Il fatto che la Maratona di Boston si apre finalmente alla partecipazione di donne trans senza sottoporle ai controlli sul livello di testosterone è un segnale molto forte di attenzione e inclusione, che parla soprattutto allo sport di base.