Giuseppe Lombardo, il procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Reggio Calabria, non ha bisogno di presentazioni. Due giorni fa il quotidiano tedesco Bild Zeitung ha dedicato al magistrato calabrese un lungo ritratto. Oggi, in esclusiva a Gaynews, Giuseppe Lombardo, torna ad affrontare il tema della lotta alla ‘ndrangheta e delle minacce anche alla luce dell’ultima lettera anonima al massmediologo Klaus Davi con tanto di cappio e insulti omofobi.
Minacce verso giornalisti, magistrati, soggetti impegnati della società civile in Calabria sono all’ordine del giorno ma non fanno notizie: perché secondo lei?
Provo la pessima sensazione che negli anni si sia stratificato nel tessuto sociale un pericoloso percorso di accettazione supina, e quindi di sostanziale normalizzazione, dei fenomeni criminali di tipo mafioso. Le grandi mafie hanno capito che senza morti o azioni eclatanti l’attenzione dei media si abbassa, consentendo alle mafie di diventare invisibili e di moltiplicare la loro capacità di infiltrazione negli ambiti strategici. Ecco perché i pochi giornalisti che vanno oltre la cronaca quotidiana diventano nemici da intimidire e minacciare. Le minacce ai magistrati a mio avviso seguono altre logiche, a volte molto raffinate. Si cerca di isolarli facendo terra bruciata intorno a loro.
Chi minaccia sa che i magistrati in questa terra vivono una condizione non semplice, caratterizzata da un carico di lavoro, quantitativamente e qualitativamente, elevatissimo. E quella minaccia serve a creare ulteriori difficoltà. Soprattutto perché le successive manifestazioni di solidarietà e di vicinanza sono puramente di facciata. Non durano nel tempo e, quindi, a mio parere non servono.
Lei vive con una scorta molto consistente da anni. Ha ottenuto condanne pesanti nei riguardi di numerosi boss. Quando ha temuto di più per la sua vita in questi anni?
Dal punto di vista professionale la mia paura più grande è quella di non poter contare sulle risorse necessarie a stabilizzare i risultati processuali che sono stati raggiunti negli ultimi anni. È stato fatto un enorme sforzo per ricostruire fino in fondo la struttura della ‘ndrangheta. Il più ampio sistema criminale di tipo mafioso – di cui la ‘ndrangheta fa parte – ha compreso che le attenzioni investigative sono rivolte verso l’alto, al fine di individuare il livello apicale delle teste pensanti: quelle che decidono le grandi strategie di politica criminale.
In questo complesso percorso antimafia siamo chiamati a convivere con paure di vario genere, che si sconfiggono ogni giorno con il coraggio delle proprie scelte, adottate nell’interesse collettivo. La forza dello Stato si misura con la sua capacità di aggregare, di creare le condizioni migliori per agire in modo coordinato e continuativo. Se ognuno farà il suo dovere fino in fondo, non ci sarà spazio per la paura. Prevarrà la consapevolezza che le mafie non vinceranno mai contro il grande esercito delle persone perbene. Di cui la Calabria è piena.
Anche l’ultima lettera anonima ricevuta da Klaus Davi dalla calabria insiste sugli insulti omofobi. Fa ancora presa questo genere di aggressione seppure verbale? Perche prendere di mira l’aspetto sessuale?
È stata diffusa, anche mediante discutibili prodotti televisivi e cinematografici, la sbagliatissima convinzione che le mafie siano composte da uomini forti e coraggiosi. Vi dico invece che sono un insieme di vigliacchi. Pieni di paure. Non reggono il confronto alla pari e, per questa ragione, si rifugiano nella violenza, fisica e verbale. Negli attacchi gratuiti, volgari, omofobi e senza senso ai giornalisti, che ne raccontano gli aspetti meno conosciuti, si manifesta tutta la debolezza interiore degli uomini di mafia e, quindi, delle organizzazioni di tipo mafioso di cui sono espressione.
Ben venga il lavoro di chi con coraggio racconta e mette a nudo le verità scomode, che le mafie tentano di nascondere da sempre. Chi ha la capacità e la forza di fare questo tipo di giornalismo, sempre più raro avrà sempre il mio sostegno. Che spero sia il sostegno di tutti.
La Calabria non fa notizia, le vostre battaglie non fanno notizia: di chi è la colpa?
C’è in atto una pericolosa tendenza ad abbassare la tensione morale nel contrasto alle mafie. Quale tema di discussione è sostanzialmente sparito dalle cronache. Si percepisce che non è prioritario alimentare percorsi di conoscenza dei moderni fenomeni criminali. Ai risultati che lo Stato raggiunge ogni giorno seguono apprezzamenti che, troppo spesso, durano lo spazio di un comunicato stampa. Noi non abbiamo bisogno di applausi. Abbiamo bisogno di sostegno e vicinanza. Che in Calabria non c’è. Neanche dopo aver dato risposte giudiziarie di assoluto rilievo. La gente osserva da lontano e non partecipa emotivamente alla guerra che si combatte ogni giorno. Purtroppo il grande sforzo fatto dalle forze dell’ordine e dalla magistratura non basta.
C’è bisogno di partecipazione collettiva, la cui totale assenza agevola il gravissimo disinteresse mediatico nazionale. Non è normale che nel territorio di una città metropolitana come Reggio Calabria, capitale riconosciuta della ‘Ndrangheta nel mondo, non ci sia una sola redazione locale delle grandi testate giornalistiche nazionali. Non è spiegabile che le televisioni parlino di ‘Ndrangheta ripetendo in eterno ricostruzioni antistoriche e superate da decenni. Questo è proprio quello che la ‘Ndrangheta desidera: silenzio e normalizzazione.
I calabresi però hanno anche le loro responsabilità..
Mi pare di averne già dato atto. E questo a me, da calabrese, dispiace oltremisura. A Reggio Calabria ci sono volute le bombe del 2010 per far sorgere movimenti spontanei di cittadini, che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza. Erano pochi e pochissimi sono rimasti. A tutti gli altri dico: cosa aspettate? Altre bombe? Altri morti? Non è matura una comunità che vive dell’emotività di un momento. Il contrasto alle mafie è impegno quotidiano, è partecipazione. Tutto questo qui non c’è. Perché a mio parere le iniziative isolate, assolutamente meritevoli, lasciano il tempo che trovano.
A che punto è la lotta contro la ‘ndrangheta?
Oggi siamo più avanti rispetto a ieri e più indietro rispetto a domani.
Al Nord i clan sembrano silenti: sono stati sconfitti?
La filosofia cinese insegna che “Il silenzio è una fonte di grande forza”. Per le mafie è esattamente così. Impariamo a riconoscere dal loro silenzio quello che sono diventate oggi. La ‘ndrangheta più di altre ha sempre utilizzato una strategia di basso profilo, che le ha consentito di interloquire indisturbata con numerosi centri di potere. Mi pare evidente che è il silenzio a dover preoccupare, non il rumore.
Il Sud è spacciato?
Le mafie sono la perfetta sintesi del concetto di “glocalizzazione”, vista la loro capacità di replicare globalmente un modello locale in grado di generare un indotto mafioso di impressionanti dimensioni. In presenza di questo evidente glocalismo mafioso continuare a parlare di “sud” non solo non ha più senso ma genera percorsi informativi altamente depistanti. Mi permetta di darle un consiglio. Esca per strada e faccia una lunga passeggiata: osservi con attenzione. Noterà tante situazioni che non hanno alcuna logica. Al sud come al nord. In Italia come all’estero. Si interroghi sulle tante anomalie che riuscirà a percepire. Quando non sarà in grado di trovare una risposta convincente, non si giri di spalle per proseguire il suo cammino, cercando di autoconvincersi che tanto di stranezze è pieno il mondo.
Le garantisco che gran parte di quelle anomalie incomprensibili nascondono una insidia: la più pericolosa delle quali si chiama mafia. Questa è la ricerca che va fatta oggi. Da cittadini consapevoli siamo tutti chiamati a cambiare i nostri occhi ed il nostro modo di osservare i fenomeni criminali di tipo mafioso. Non è un percorso semplice, ma lo dobbiamo a tutti quelli che ci hanno creduto prima di noi e sono morti per questo. Il nostro debito di riconoscenza va saldato con la partecipazione e l’impegno. Costi quel che costi.