Lo aveva annunciato e l’ha fatto. Al grido di Chiudiamo i porti e Riprendiamoci il nostro splendido Paese il ministro dell’Interno nonché vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini sta muovendo i primi passi nell’arrestare quello che lui chiama «il business schifoso dell’immigrazione clandestina».
Poco importa se la nave Aquarius della ong Sos Meditarrenée è stata ferma per oltre un giorno nel Mediterraneo con a bordo 629 persone, tra cui donne (di cui sette incinte) e bambini (prima dell’annuncio, qualche ora fa, da parte del premier spagnolo Sánchez che i migranti saranno accolti nel porto di Valencia). Poco importa se si tratta di persone che fuggono dalla miseria, dalla fame, dalla violenza.
Una narrazione, quella del business schifoso, che si nutre di allarmi complottistici con i j’accuse indistinti alle ong, al plutogiudeo Soros, ai Paesi Ue e la plaudente accoglienza da parte delle masse. Quelle masse, su cui a fare breccia, in tempo di crisi, sono sempre i proclami e la riduzione ad unum delle cause sottese a una situazione socio-economica complessa. E a serpeggiare, ora più che mai, è la fobia dello straniero, del migrante, di chi è percepito come altro da sé: è la xenofobia. Perché di questo si tratta, nonostante i distinguo di Salvini per il quale, alla fine, buona parte degli immigrati è in buona parte «gente che ruba, rapina, spaccia».
È quanto detto da Matteo Salvini stesso nel corso di una diretta Facebook il 9 giugno. «Le navi delle ong – ha dichiarato – non esistono. Stiamo scannerizzando una per una le navi delle ong e qualche cosa abbiamo già scoperto. Navi olandesi, spagnole, inglesi, tedesche che girano per il Mediterraneo, arrivano davanti a Malta che gli fa ‘ciao, ciao’ non le fa attraccare e allora vengono a fare i loro comodi in Italia. Se pensano di ripetere quello che hanno fatto finora, con sbarchi su sbarchi, sappiano che ora il ministro e il governo sono cambiati.
Io non starò a guardare. In una settimana abbiamo già fatto capire che la musica è cambiata. Stiamo lavorando sul fronte immigrazione e sicurezza, studiando le norme per ridurre i costi, perché ogni giorno i contribuenti italiani spendono 35 euro per mantenere migranti e far guadagnare finte cooperative».
Posizioni, che stanno attirando critiche corali da parti dei media e di larghi strati della società. Ma anche di non poche associazioni Lgbti che, dell’impegno trasversale a partire da quello a tutela dei migranti, stanno facendo un cavallo di battaglia parlandone anche in alcuni documenti politici dei Pride. Soprattutto quello del Roma Pride che, sabato 9 giugno, ha visto scendere in strada 500.000 persone ed è stato caratterizzato dai discorsi infuocati della partigiana Tina Costa, del presidente del Mieli Sebastiano Secci e della presidente onoraria del Mit Porpora Marcasciano contro il razzismo xenofobo di Salvini.
Cosa che non è sfuggita al ministro dell’Interno che, nella stessa diretta, ha espressamente menzionato il Pride di Roma.
«Tutta la stampa e le televisioni – ha detto con aria vittimale – sono contro di me, contro la Lega, contro questo governo. Ho visto i telegiornali, le radio, tutti i giornali.
Ma poi ho visto associazioni, sindacati, Confindustria, il Gay Pride oggi a Roma, Soros, la Bonino, Matteo Renzi, Saviano, Balotelli, Fabrizio Corona: non ci facciamo mancare nulla.
Va bene: mi danno forza, mi danno coraggio, mi danno voglia di lavorare ancora di più. Ripeto: questa settimana è stata una settimana incredibile. Giorno e notte sui documenti, sui libri, sui dossier, al telefono. E non solo su immigrazione. In sette giorni stiamo già riportando la nave Italia verso il largo, con un obiettivo preciso».