La scrittrice, nota sui social cinesi con lo pseudonimo Tianyi, è stata condannata a 10 anni di carcere dalla Corte del Popolo di Wuhu (provincia orientale di Anhui) per aver prodotto e messo in vendita sul web «materiale osceno».
Secondo Deng Xueping, legale della romanziera, la severità della sentenza sarebbe imputabile a un’arretrata interpretazione della legge sulla pornografia risalente al 1998, molto indietro rispetto ai cambiamenti della società.
A finire nel mirino della polizia locale il romanzo Gongzhan (Occupazione), in cui è narrata la relazione tra un insegnante e un suo studente. Secondo l’accusa la scrittrice avrebbe venduto 7.000 copie dell’opera del 2017 e altre novelle «pornografiche» (la maggior parte delle quali a tematica omoerotica), traendone «profitti illegali» per 150.000 yuan (18.930 euro).
Romanzi a tematica omosessuale non sono rari in Cina e sono acquistabili attraverso diversi siti web. Ma chi ottenesse profitti superiori ai 50.000 yuan (6.300 euro) nel produrre o diffondere «materiale osceno» è penalmente perseguibile.
Nelle ultime settimane, le autorità cinesi hanno rafforzato la repressione di «pubblicazioni illegali» online, categoria che comprende la pornografia e opere «che mettono in pericolo l’unità nazionale» o che «minano l’ordine sociale».
Contro il verdetto, emesso lo scorso 31 ottobre, Tianyi ha presentato già ricorso in appello alla Corte intermedia del Popolo di Wuhu.
Ma la condanna a dieci anni ha suscitato una tale reazione indignata tra gli internauti del Paese del Dragone da indurre Global Times (tabloid nato da una costola del Quotidiano del Popolo, voce del Pcc) a parlarne.
Fortemente critico l’autorevole sessuologo e sociologo Li Yinhe, per il quale «persino una condanna a un anno sarebbe stata troppo».
Su Weibo, il Twitter cinese, in molti hanno inoltre obiettato che una pena così dura non è irrogata neanche per gravi reati a carattere sessuale. Alla scrittrice è stata infatti inflitta una condanna simile a quella prevista per gli stupratori, che va da un minimo di tre anni di carcere a un massimo di dieci.